Nella testa di molti italiani le elezioni europee sono di secondo piano. Tale percezione, inadeguata anche in passato, oggi è veramente insostenibile
Pochi giorni fa il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nella sua prima relazione annuale, ha affermato che “l’avanzamento dell’integrazione europea è la risposta ai mutati equilibri geopolitici e al rischio di irrilevanza cui i singoli Stati membri sarebbero altrimenti condannati dalla cruda aritmetica dei numeri”. Sono parole chiare, nettissime e autorevoli. Del resto, solo un pregiudizio ideologico potrebbe impedire di vedere quel che Panetta ha sottolineato con estrema lucidità. Egli è ben consapevole che la quasi totalità della nostra crescita economica è legata all’attuazione del Pnrr e quindi ai fondi europei.
Altro che di secondo piano. Oggi la posta in gioco nelle elezioni europee è d’importanza cruciale. E per una volta le ragioni ideali e quelle economiche spingono nella stessa direzione. Quando il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, formula l’auspicio che “l’Europa si ricordi delle sue radici” e che “la scelta sia per un futuro maggiore, e non minore, dell’Europa”, muove da presupposti chiaramente diversi da quelli pragmatici del governatore della Banca d’Italia, ma indica una prospettiva che tende a convergere. Del resto è una pericolosa illusione quella di chi immagina di poter fare a meno dell’Europa o comunque di ridimensionarne il ruolo.
La nostra collettività, ha scritto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 2 giugno, è “inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità”. Una sovranità che è l’esatto contrario di quei sovranismi che alimentano venti di guerra anche lì dove sembrava impossibile che fosse rimessa in discussione la pace. E che invece è in piena sintonia con le piccole sovranità dei nostri territori in cui “viene rinsaldata l’unità dell’edificio democratico, valorizzando il principio di autonomia nell’orizzonte della solidarietà”, per citare ancora il messaggio di Mattarella.
Se l’Europa vuole autocondannarsi all’irrilevanza politica, economica, militare e morale non deve far altro che continuare nella strada ben segnata delle divisioni interne e dei sovranismi di piccolo cabottaggio. Le spinte populiste, il chiudersi nei propri confini, sono un pericolo. I singoli paesi infatti non sono in grado di affrontare da soli le grandi questioni che l’attualità presenta. Ogni sfida, dalle migrazioni all’ambiente, dalla pace all’economia giusta per tutti, necessitano di una soluzione comune. E per noi cristiani che viviamo in questo continente, ci ricorda Papa Francesco, c’è il compito di recuperare una memoria antica per aiutare l’Europa a diventare comunità, che vince la paura e guarda, con speranza, al futuro.