“È meraviglioso vedere il popolo egiziano che si riprende in maniera pacifica la rivoluzione che gli è stata rubata». È uno degli ultimi tweet del papa copto Tawadros II, eletto solo qualche mese fa, come papa Francesco. A capo di una delle Chiese cristiane più antiche, nata dalla predicazione di San Marco evangelista e poi divisa da quella Cattolica nel Concilio di Calcedoni (451), nei giorni più caldi della “II primavera araba”, si è schierato apertamente dalla parte dei giovani: «Rendo omaggio ai tre grandi dell’Egitto: il popolo, l’esercito e i giovani». Una scelta coraggiosa che sembra spingerli a una nuova primavera dopo il lungo inverno della guida politica dei Fratelli musulmani (movimento islamista nato nel 1928 con l’intento di islamizzare la società).
Per comprendere davvero le ragioni per cui i giovani egiziani (cristiani compresi) sono disposti a versare ancora il loro sangue, occorre risalire alle cause profonde della “primavera araba”.
Sull’argomento avevamo sentito qualche tempo fa uno dei maggiori studiosi dell’Islam contemporaneo, il professor Paolo Luigi Branca, Docente all’Università Cattolica di Milano, intervenuto a Rimini per una conferenza pubblica all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”.
Professore cosa sta succedendo nel mondo arabo? Qual è la posta in gioco?
“La posta in gioco è l’equilibrio tra religione e politica, problema che non è solo dei Paesi arabi, ma anche di quelli occidentali, che faticano ancor oggi a trovare la “giusta laicità” delle istituzioni. Al contrario di ciò che si pensa, però, nei Paesi arabi il problema odierno non è la teocrazia, cioè l’uso religioso della politica, bensì il cesaro-papismo, l’uso politico della religione.
Quali sono secondo lei le cause della “primavera araba”? Cosa chiedono i giovani?
“I giovani scendono in piazza perché non ce la fanno più a vivere in un sistema fondato di fatto sulla corruzione. Le faccio solo alcuni esempi: gli universitari devono acquistare il manuale dal loro professore a caro prezzo, che glielo firma nominalmente, senza il quale se lo sognano di passare l’esame; i bambini e i ragazzi devono andare tutti a ripetizione dagli stessi insegnanti del mattino, altrimenti anche loro se lo sognano di essere promossi; il poliziotto che ti ferma per strada, non vuole vedere i tuoi documenti né lo stato della tua auto, ma dirti quanti soldi devi dargli perché non ti faccia la multa. In questi paesi quando esci di casa la mattina non sai quante persone dovrai pagare prima di arrivare a sera. La primavera araba, quindi, è una questione di dignità: è stata innescata, infatti, da un venditore ambulante tunisino giunto alla disperazione”.
Che ruolo hanno i cristiani, come per esempio i copti?
“I cristiani sono oppressi due volte: perché sono arabi e perché sono cristiani. Lei pensi che nel “laico” Egitto nessun arabo cristiano può insegnare la lingua araba, perché è la lingua del Corano; nessuna legge lo vieta, ma di fatto è così. Quei cristiani non devono chiedere solo rispetto, ma devono avere il coraggio di chiedere uno stato di diritto!”
Alcuni affermano che esiste un “l’Islam illuminato”. Di cosa si tratta?
“Ci sono intellettuali musulmani consapevoli che l’Islam di questi Paesi fa paura, e fa male in primo luogo agli stessi musulmani. La maggior parte di loro vivono all’estero e cercano di coniugare le esigenze religiose dell’Islam con l’apertura al mondo contemporaneo, ma purtroppo vengono emarginati sia dai loro governi, che preferiscono appoggiare i fondamentalisti (perché è più semplice sottomettere masse prive di un pensiero critico), sia dai mass media Occidentali, perché è più facile coltivare una visione unilaterale e violenta dell’Islam”.
Può farci alcuni nomi di questi intellettuali?
“Posso citare Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, promotore di una moratoria della pena di morte: chiede ai governi dei Paesi islamici di sospendere le applicazioni delle pene coraniche, perché di fatto offendono solo i poveri (i ricchi, infatti, se la cavano sempre) e vengono spesso strumentalizzate dagli stessi governi”.
Noi occidentali possiamo accelerare la “primavera araba”?
“Certamente. Nei nostri paesi possiamo aiutare i musulmani a sviluppare una classe dirigente religiosa in grado di coniugare religione e ragione, religione e diritti umani. Un intellettuale siriano, oggi a capo dell’opposizione al regime di Assad, mi diceva che l’Islam sta affrontando la sua più grande sfida religiosa, perché non esiste un pensiero politico critico di fronte allo strapotere dello Stato e non esiste neppure una guida religiosa autorevole che sappia canalizzare la forza spirituale delle masse, affinché la religione non si trasformi in potenza esplosiva. La Francia, per esempio, è andata dalla parte opposta: vietando alle donne di portare segni religiosi, ha fatto sì che le ragazze rimanessero a casa o andassero nelle scuole musulmane o in quelle cattoliche (dove però vivono in maniera separata la loro religione e la cultura, cioè non fanno sintesi)”. (e.c.)
* La relazione integrale del professor P.L. Branca, “I volti dell’Islam contemporaneo”, tenuta all’Issr “A. Marvelli” di Rimini è ora pubblicata in Parola e Tempo, Annale dell’Issr “A. Marvelli”, n. 11/2012, pp. 292-302 (il volume si può acquistare presso l’Issr oppure alla Libreria Pagina di Rimini).