A settantanni dalla sua fondazione il CEIS, insieme con la Fondazione Margherita Zoebeli e la Biblioteca Gambalunga hanno promosso un ciclo di incontri sui principi ispiratori della straordinaria esperienza pedagogica ed educativa del Centro Italo Svizzero dal titolo: “Quando educare cambia il mondo”. Ad aprire la kermesse, Romano Madera, professore di filosofia morale e pratiche filosofiche presso l’università degli Studi di Milano Bicocca, con un intervento dal titolo “Formarsi al mestiere di vivere”. Abbiamo dialogato con il professore sull’educazione nella contemporaneità.
Che ne pensa del progetto educativo di Margherita Zoebli, che vede nel CEIS di Rimini la sua realizzazione?
“Purtroppo non lo conoscevo prima di venire a Rimini. Adesso ne ho sentito parlare e ho letto qualche scritto che mi è stato dato in questa occasione. Ne ho ricavato l’impressione che siamo di fronte a un vero, grande esempio di capacità di coniugare attenzione ai bisogni concreti e cura per la formazione integrale delle persone. Una luce, una delle tante luci poco conosciute che ci possono rischiarare il cammino”.
Attivare nel bambino pensiero ed immaginazione. Questi gli obiettivi della pratica educativa promossa dalla Zoebli. Prof. Madera, lei è uno degli ideatori del progetto”Pratiche filosofiche a scuola”, che si pone come obiettivo quello di stimolare le persone adulte al pensiero. Che cosa significa “stimolare al pensiero” e quali gli effetti di questa pratica educativa?
“Le pratiche filosofiche a scuola sono una parte del nostro progetto che si rivolge alle persone, indipendentemente dalla loro situazione lavorativa. La nostra filosofia è un modo di vivere, ospitale di ogni serio orientamento di senso, filosofico e religioso o anche non religioso che sia, un modo di vivere nel quale l’esperienza interroga le idee e le idee si confrontano con l’esperienza”.
Educare non è un mestiere semplice, soprattutto nelle società contemporanea. Cosa significa educare oggi?
“In questo momento storico non è più riproponibile un’educazione basata sull’imitazione. Codici e canoni hanno ormai una validità relativa. Questa non è solo né principalmente una perdita: ne potrebbe venire rafforzata la responsabilità nell’esercizio di una libertà personale più profonda. Ma la libertà spaventa e peraltro è assediata dagli automatismi della società di massa. Mai come oggi bisognerebbe esercitare l’arte della maieutica, con l’aggiunta però del sapere psicologico e sopratutto psicoanalitico e delle scienze umane: partire dalla biografia, dalle storie degli individui per mostrare quanto la nostra singolarità sia intessuta del rapporto con gli altri e con il cosmo e da questi dipenda.
Lei ha detto: i temi dell’esistenza a scuola sono trattati a fini nozionistici. Potrebbe spiegarsi meglio?
“Basterà fare un esempio: l’educazione sessuale, quanto è «esistenziale» questo tema! L’emozione, gli affetti, la relazione, il riconoscimento, la fiducia etc. etc… se si riduce tutto questo a qualche spiegazione sulla fisiologia con qualche spruzzatina di buona educazione si fa, al massimo, un po’ di informazione, così distante dai vissuti da avvicinarsi pericolosamente alla noia e al nulla. La stessa cosa per l’educazione civica e la spiegazione della costituzione, per il razzismo e il sessimo etc. In un insieme di altre nozioni, l’esperienza vivente dei giovani difficilmente trova ascolto”.
I fenomi di bullismo e cyberbullismo nella scuola italiana sono sempre più diffusi e in crescita. Qual è il ruolo dell’educazione nell’arginare questi fenomeni?
“La scuola non può essere il luogo magico dal quale attendersi la risoluzione di tutti i problemi della società. L’educazione è fondamentale solo se è vera formazione della persona, ma bisognerebbe preoccuparsi anche di creare le condizioni perché questo avvenga: qui è in gioco tutta la dimensione socio-economica e la forma culturale dominante. Non si può venerare di fatto il successo a tutti i costi, la competitività esasperata, il denaro come reale nuovo dio, il potere come modalità preferenziale di avere relazioni, la fama come segno distintivo dell’identità e poi consegnare all’educazione il compito di guarirci dai mali che intanto fomentiamo con tutte le nostre energie.
Crede che sia ancora possibile nella scuola italiana un’azione educativa che miri non solo all’informazione ma anche alla formazione?
“Forse, se piccoli gruppi e singoli individui, troveranno la forza di darsi una mano e se l’istituzione cambiasse direzione e smantellasse l’enorme peso burocratico che grava sugli insegnanti, demotivando ogni sforzo creativo nel rapporto con l’esperienza delle persone per la preoccupazione di riempire di nozioni e di ”competenze” giovani che non riconoscono ancora la potenziale bellezza del sapere quando è intessuto alla vita”.
Sara Castellani