La semiotica non l’ho mai studiata. Il Nome della Rosa non l’ho letto né ho visto il film: chiedo venia ma sono stato tarato per libri sotto le 250 pagine (300 se sono proprio scritte larghe) e film sotto i 120 minuti (pubblicità esclusa: in tv anche un cortometraggio diventa un’impresa tra spot e bollettini della neve, ma questa è un’altra storia). «La bustina di Minerva» l’ho letta di rado: mi soffermo giusto al Rompipallone di Gene Gnocchi su «La Gazzetta dello Sport». Qualche Bustina l’ho letta, come quella geniale e dissacrante sulle quaranta regole per parlare bene l’italiano. Intercettata non sul nobile supporto cartaceo ma sui social network, quelli che come ebbe a dire lo stesso Eco hanno dato parola a “legioni di imbecilli”. Se non ci fosse nessuno a fare outing come il sottoscritto, come potrebbero sentirsi i veri estimatori di Eco tali in mezzo a un marasma di post su internet dove chiunque con un copia e incolla si sente titolato a rendergli un tributo, che oggi se non scrivi niente sul defunto del giorno sei socialmente defunto? Penso ce ne sia abbastanza per potermi definire un eroe dei tempi moderni!!! (regola numero 16: “L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive”, regola numero 27: “Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi”). Visto, professore? La seguivo poco, ma bene!!
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini