Per primi sono arrivati i bambini. A partire dalle 6.30 del mattino, alla spicciolata, assonnati, mano nella mano di mamma e papà. Via via più rumorosi, devono stare ai primi banchi, magliettina e cappellino bianco: sta per arrivare il Papa. L’aria che si respira a Lampedusa all’alba dell’8 luglio è quella della grande festa. Seduti davanti i bambini, i migranti ospitati nel centro di prima accoglienza dell’isola e i malati, e poi dietro tutti i pellegrini, i turisti che si sono trovati lì per caso e gli isolani.
In pochi giorni la piccola isola siciliana è stata completamente sventrata, soprattutto il campetto sportivo, di fronte al palco che ha ospitato Papa Francesco. Giù i muri, giù le porte e gli spogliatoi. Giù tutto, perché altrimenti dove accogliere il Papa se non qui? Unico spazio in grado di sopportare un evento come questo.
La notizia, giunta ad una settimana dell’arrivo del pontefice, è stata da subito accolta con gioia ma anche con molta preoccupazione: Ce la faremo? Dove metteremo i pellegrini? Come faremo ad essere all’altezza del primo viaggio ufficiale di Bergoglio? Noi siamo piccoli, il Papa è grande!
I timori del giorno prima si sono sciolti subito, nell’attimo di un sorriso. In diecimila ad ascoltarlo (quasi 20mila lungo il tragitto fatto in auto). Tutti hanno provato a toccarlo, lo hanno chiamato per nome, si sono passati sopra le teste i bambini da fargli baciare. Così, con gesti semplici, la grandezza del Papa tanto “temuta” si è trasformata in una grande condivisione.
La preghiera si è fatta strada a poco a poco. Il Papa è arrivato a Lampedusa intorno alle 9.30, la sua prima tappa, via mare (accompagnato da 150 imbarcazioni), verso le acque che hanno ucciso decine di migliaia di persone, ai piedi della “Porta di Lampedusa, Porta d’Europa” inaugurata nel 2008 proprio per non dimenticare le vittime dei viaggi della speranza. La posa della corona di fiori a mare, la preghiera e poi si riparte verso il porto (lo sbarco nel molo Favarolo) nello stesso luogo dove normalmente vengono accolti e dati i primi soccorsi ai migranti che arrivano sull’isola. Ed è stato qui che Bergoglio ha incontrato i migranti ospitati nel centro d’accoglienza, giovanissimi e timorosi si sono avvicinati e hanno parlato con lui. “Che emozione – mi ha raccontato poco dopo Hymer – mai avrei pensato di incontrarlo, mai avrei pensato che potesse capitarmi qualcosa di più grande. Ero così intimorito, ma il suo sguardo mi ha conquistato”.
E poi è arrivato il momento della messa. Il Papa a bordo di un’auto scoperta (di proprietà di un isolano) si è fatto strada tra la folla. Tra gli sguardi preoccupati delle sue guardie del corpo, una grande festa di volti e di mani lo hanno accompagnato sino ad un altare costruito alla buona, alla guida di un timone, relitto di una nave affondata. Con quel timone tra le mani ha scagliato, come pietre, parole di giustizia, di uguaglianza, di perdono e d’incoraggiamento. Da quel timone arrivano le preghiere, arriva un “Perdono, Signore”, arrivano i grazie alla popolazione lampedusana, arrivano i rimproveri ai potenti che hanno girato lo sguardo dall’altra parte, arrivano anche le riflessioni verso una globalizzazione della sofferenza che ci ha fatto dimenticare gli altri e dato l’illusione della mancata responsabilità individuale rispetto a quello che accade nel mondo. “Dov’è il sangue di tuo fratello” ripete il Papa, più e più volte. E infine arriva anche O’Scia, la parola più dolce che gli isolani concepiscano. L’abbreviazione di Sciatu mia (fiato mio) che indica l’amore più grande, il prolungamento da te a me, il mio fiato che diventa il tuo.
L’omelia del Papa
a Lampedusa
In molti si sono chiesti perché. Perché Papa Francesco abbia scelto Lampedusa per il suo primo viaggio ufficiale. In molti hanno parlato della grandezza del gesto umano, dell’importanza del messaggio politico e della direzione nella quale il Papa vuole portare la sua chiesa. Tutto vero, ma le parole usate dal pontefice per spiegare questo evento sono “basse” e toccano il cuore, scacciando in un soffio dietrologie e ricostruzioni politiche: “Quando ho appreso la notizia della morte di questi ragazzi (in riferimento all’ennesimo incidente di poche settimane prima, ndr) il pensiero è tornato come una spina nel cuore. Allora ho sentito che oggi dovevo essere qui a pregare perché quello che è accaduto non si ripeta. Che non si ripeta. Che non si ripeta, per favore”. Quel “per favore” pronunciato più e più volte, con forza e dolcezza crescenti, ha scosso i diecimila presenti e – non facciamo fatica a immaginare – anche tutti coloro che attaccati alla televisione hanno potuto seguire l’evento in mondovisione. L’uomo sofferente alla guida del timone ci ha spinti ad aprire gli occhi, “tanti di noi sono disorientati– ha detto – non creiamo, non custodiamo gli altri. I nostri fratelli e sorelle volevano solo il meglio per loro e le loro famiglie, cercavano la vita ma hanno trovato la morte”.
Ma ciò che arriva è anche una buona dose di rimproveri nei confronti degli italiani e del modo di rapportarci alle persone che arrivano dal mare in cerca di una vita migliore: “Pochi minuti fa ho parlato con uno di loro, mi ha raccontato un po’, in poche parole quello che ha vissuto. Questi fratelli sono passati nelle mani dei trafficanti, di persone senza scrupoli, che si arricchiscono sulla povertà e la sofferenza degli altri. Quanto hanno sofferto questi fratelli? Chi è il responsabile di questo sangue? Chi ha pianto per queste madri e questi bambini? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del soffrire con..”. E ancora, “Non facciamo in modo che questi fratelli passino da una schiavitù all’altra. Perché l’incontro con noi non si trasformi in altre e nuove schiavitù”. Da una schiavitù africana ad una schiavitù italiana, con lavori sottopagati, con diritti umani calpestati e un futuro incerto, di non integrazione. La cultura del benessere ha portato alla globalizzazione della sofferenza ha detto più volte il pontefice. Siamo immersi in una bolla. “Una bellissima bolla, bella ma vuota”.
Così il Papa lascia il suo timone. Incurante del “pericolo” si ributta tra la folla, non prima di aver reso omaggio alla Madonna di Porto Salvo, protettrice degli uomini che vanno per mare. I lampedusani cantano la canzone della loro madonnina “Di Porto Salvo celeste regina… Lampedusa che esulta per te!” e accompagnano il loro papa (oggi lo sentono loro più di chiunque altro) verso la chiesa del paesino. Nella piccola piazzola di fronte alla chiesa di San Gerlando, un bimbo di pochi anni scappa dalle grinfie della mamma, supera la transenna e corre. Papa Francesco lo chiama con la mano e col sorriso, il bimbo lo raggiunge e lo abbraccia. E ancora si canta… “Lampedusa che esulta per te!”
L’inviata, Angela De Rubeis