La più avvincente e misteriosa raffigurazione riminese del Cristo risorto è l’ampio e suggestivo Noli me tangere, dipinto sulla parete di fondo della chiesa di San Giovanni Evangelista, più nota come Sant’Agostino. Ed è anche la più antica in città: fa parte di un ricco ciclo di affreschi, riemersi con il terremoto del 1916 e realizzati intorno al 1315-1318 dalla Scuola Riminese del Trecento per l’Ordine degli Eremitani che, dal 1256, seguiva la Regola attribuita appunto, al grande Agostino, padre e dottore della chiesa, filosofo, teologo, maestro di oratoria sacra e, soprattutto, santo.
L’episodio è tratto, non a caso, dal Vangelo di Giovanni (Gv. 20, 17), titolare della chiesa degli Agostiniani: Maria di Magdala, recatasi al luogo della sepoltura di Gesù, per portare al corpo del maestro il conforto dell’unzione funebre, non trova il cadavere, teme un furto, e si dispera in lacrime. Un uomo le si avvicina per confortarla: Maria crede si tratti del custode del cimitero; è invece il Salvatore risorto dai morti che le ordina: «Non mi trattenere (Noli me tangere), perché non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Il tema intende rivelare l’ordine sovrannaturale al quale appartiene il corpo risorto del Salvatore.
Commentando il testo, Agostino scrive: «Non ci resta che ammettere che si nasconde qui un mistero», cioè che il Cristo «e il Padre sono una cosa sola».
Perché la Maddalena non deve toccarlo, non può trattenerlo? La Chiesa intende in questo divieto la volontà del Cristo di alludere alla nuova natura del suo «corpo glorioso», rafforzando nel cuore di Maria e degli Apostoli la fede nella sua resurrezione e nella sua divinità, come scrive l’antico liturgista Bruno di Segni,a commento del Vangelo di Giovanni: «Non toccare con le mani ciò che non hai ancora toccato con la fede. Credi che sono risorto e che, spogliato l’inferno, Io ascendo al Padre; non cercare nel sepolcro me, che sono ovunque e non posso essere costretto in nessun luogo».
La tradizione pittorica, dal Medioevo in poi, rappresenta questo episodio in una forma stabile: la Maddalena compie il gesto di toccare Gesù, ma il Redentore la scansa fuggendole. Qui il gesto della donna, vestita con un abito viola, sembra quasi una preghiera. Il Cristo indossa una lunga tunica imperiale, rossa e bordata d’oro; l’abito è segnato sul petto da un rettangolo che rammenta l’ephod, il pettorale del GranSacerdote ebraico. Non è Cristo, come c’insegna la Lettera agli Ebrei,il sommo sacerdote, il Sacerdote eterno? Sulle spalle, Gesù porta unmantello bianco e sfolgorante,trapunto di cerchi e losanghe
su cui fioriscono piccole forme cruciformi a foglia d’oro.
Il Risorto regge una lunga e rossa verga crociata, come nelle raffigurazioni antiche e bizantine della discesa agli inferi: la Croce vince la morte e l’inferno. Il manto si mostra candido e abbagliante, come le vesti di Cristo nell’episodio della Trasfigurazione sul monte Tabor in cui si è palesata la sua divinità.
Al tempo il Signore si era rivelato solo ai tre apostoli prescelti, Giacomo, Giovanni e Pietro, che dovettero custodire il segreto fino al giorno della resurrezione; ora Maddalena è incaricata di annunciare il Mistero: una donna è apostola tra gli apostoli, ha visto per prima ciò che gli altri conosceranno solo dopo. La scena avviene nell’orto cimiteriale dove si trova il sepolcro di Gesù: un giardino descritto con alberelli ormai poco visibili e di cui il Salvatore è creduto il custode dalla Maddalena. Un saggio fraintendimento: non è forse Cristo il Verbo con cui Dio ha creato l’Eden, e non è Egli il Nuovo Adamo, custode del Paradiso?
Alessandro Giovanardi