La formazione di Alberto tra oratorio salesiano e Azione cattolica (2).
Dall’oratorio salesiano alla sezione di Azione cattolica della parrocchia il passaggio fu naturale: l’educazione salesiana mirava, infatti, a formare « buoni cristiani e onesti cittadini », e raccomandava ai giovani, come normale sbocco della loro attività l’apostolato; e l’apostolato, in collaborazione con quello gerarchico, era la finalità più specifica della Azione cattolica. “ Osmosi” auspicata dallo stesso Pio XI. Usando un’immagine che lui stesso definisce « idraulica », in un discorso rivolto al Congresso della Gioventù cattolica italiana l’11 novembre 1924, infatti, Pio XI aveva espresso l’augurio che « tutte le organizzazioni o quasi organizzazioni pre giovanili» potessero diventare le « bocche da carico » del bacino « ricco di ogni bellezza e di ogni tesoro» , rappresentato, appunto, dalla Gioventù cattolica.
Alberto, continuando a frequentare e ad animare le attività dell’oratorio salesiano, assume vari incarichi all’interno della Azione cattolica, da responsabile del Gruppo aspiranti in parrocchia (1933), a vicepresidente diocesano, per ricostituire, al termine della guerra, il gruppo dei Laureati cattolici, in collaborazione con la sua antica insegnante di storia dell’arte Maria Massani. In Azione cattolica Alberto vive il valore e la necessità dell’apostolato come la più alta forma di carità: “È Dio dall’alto del cielo e dal profondo della nostra anima, dove vive con la sua grazia, col suo spirito, con la sua divina Eucaristia, che muove noi sulla via della santità, da una parte, e dell’apostolato, dall’altra […]. Non dunque vanità o lusso spirituale l’apostolato; non capriccio religioso, ma doverosa manifestazione dello spirito. Una luce non può essere soffocata in una scatola, in un cassetto, in una sala, ma deve rifulgere in tutta la casa, in tutte le strade, in tutti i luoghi. Accendiamo questa luce in noi e facciamola risplendere negli altri. Cristo è «Colui che deve venire» nel nostro mondo di oggi, nelle anime, nella scuola, nella professione, nell’officina, nel commercio; deve conquistare l’anima del mondo moderno, Cristo. Non è tempo di piangere e lamentarsi sull’iniquità del secolo; è tempo di pregare e di agire”.
Nell’umile consapevolezza che a convertire non è l’uomo, ma Dio. Per questo invita a muoversi con serenità, facendo proprie le doti indicate da Giacomo: “Questo apostolato della Verità deve possedere delle doti, che S. Giacomo enumera con precisione. «Sii pronto ad ascoltare» : ampiezza di visione, dolcezza di carità, larghezza di vedute, rispetto della libertà spirituale dei fratelli, esigenza di contatto con le condizioni e le situazioni interiori dell’errore stesso per sapere e poter condurre le anime dalla loro deviazione «all’ammirabile regno della Luce»; «Sii tardo a parlare»: non è la tua idea che devi imporre, ma devi donare Iddio. Sappi attendere il momento designato da Dio; «Sii tardo all’ira»: nulla di personalismo, di orgoglio. La Luce viene dall’amore e dall’Amore”.
Accanto ai tre impegni dell’educazione salesiana altri tre, non troppo diversi, gli propone l’Azione cattolica: preghiera, azione, sacrificio.
Alberto è uomo d’azione, convinto che si può diventare santi, ma in un cielo che deve essere conquistato faticosamente nella città terrena. Per questo l’azione non può essere improvvisazione, richiede preparazione interiore e dunque sacrificio: “L’azione comporta una preparazione interiore, postula una certa condotta dell’anima, un certo dominio della coscienza, una meditazione confidente che s’innalzi verso Dio. L’azione non è improvvisazione: vuole disciplina e tecnica, suppone distacchi, reclama mortificazioni, amputazioni, sacrifici, contiene in radice uno sforzo di ascetismo. In tal modo ci si dispone all’operare, all’azione cattolica: andando al prossimo per andare a Dio”.
La fatica che costa vincere le nostre debolezze e riprenderci dai nostri errori può essere superata solo con l’aiuto della preghiera, nella certezza comunque che nella preghiera l’anima è capace di ogni vittoria: “Forse costa più dare la vita al Signore goccia a goccia ogni giorno. Dove è nascosto il segreto per attingere questo spirito di sacrificio? Nello spirito di preghiera. Nella preghiera l’anima è capace di ogni vittoria. Onnipotenza dell’uomo e debolezza di Dio. È la verità più consolante di tutta la nostra fede. Un’anima che volesse la sofferenza per la sofferenza, sarebbe un mostro, un assurdo. Ma volerla come necessità, come si chiede il chirurgo. Noi siamo fatti per la gioia e quindi dover sempre dire di no, rinnegare, soffrire sempre, sarebbe troppo faticoso se non ci fosse la preghiera. Il Signore darà la sua grazia, la sua forza, il suo aiuto solo se preghiamo”.
Lo “studio” dei salesiani e l’“azione” della Azione cattolica, la “pietà” dei salesiani e la “preghiera” della Azione cattolica l’avevano educato ad amare Dio e il prossimo, l’avevano educato a una fede “vissuta” nell’impegno per gli altri. Una fede, per così dire, “politica”, capace di incarnarsi nell’hic et nunc della storia. Non a caso, a partire dagli ultimi anni della guerra, gli si precisa la convinzione che l’impegno politico può davvero diventare la più alta forma di apostolato e, a guerra terminata, in una città rasa al suolo dai bombardamenti degli alleati, sceglierà di abbandonare gli incarichi in Azione cattolica per dedicarsi alla politica, convinto che per i cattolici si aprisse un nuovo campo di lavoro, per il quale dovevano spendere con generosità il proprio tempo e le proprie energie.
L’attività politica poteva e doveva diventare l’espressione più alta della fede vissuta: «Ora noi giovani di Azione cattolica abbiamo una raddoppiata responsabilità davanti a Dio e davanti al mondo – scrive nel Diario – Bisogna fondare il diritto nazionale ed internazionale su basi cristiane. Il Vangelo e le Encicliche pontificie devono essere la norma di vita non solo dei singoli, ma dei popoli, delle nazioni, dei governi, del mondo».
Era, in fondo, l’esito di quanto aveva appreso durante gli anni del suo impegno in Ac. In tutti i discorsi rivolti alla Azione cattolica, infatti, Pio XI da una parte spingeva a prendere le distanze dalla politica tecnicamente intesa, a non coinvolgere la Chiesa nelle lotte politiche di parte, ma al tempo stesso insisteva sulla necessità per il credente di una formazione all’impegno politico, come impegno a servizio della città dell’uomo, nella ricerca e nella costruzione del bene comune: “Non politica di partito, del giorno, del momento: l’Azione cattolica non ha bisogno di mettersi su tali vie, in tale cammino. Ma c’è un’altra politica alla quale noi non possiamo e non vogliamo abdicare: non possiamo infatti rifiutare la politica del bene comune, la vera politica, la grande politica che ha di mira il bene comune, cioè la cura e il lavoro per procurare e conservare i beni che sono di tutti e non possono mancare ad alcuno: e cioè la santità della famiglia, la santità dell’educazione, i diritti della Chiesa, i diritti delle coscienze, i diritti di Dio […]. Ora, l’Azione cattolica come tale non deve fare la politica parziale, la piccola politica, ma si riserba e si dedica alla grande politica, a quei primi beni sovrani che sono la base di tutti gli altri. Questa è la maniera di rendersi benemeriti di tutto il bene comune, nella più larga accezione della parola”.
Cinzia Montevecchi