L’Italia è stata sanzionata dall’Unione europea per la condizione disumana delle sue carceri, sovraffollate e malridotte, dove i criminali vengono rinchiusi e dimenticati dato che solo una piccola parte di essi partecipa ad attività riabilitative. I numeri parlano da sé. L’80% dei detenuti che studiano e lavorano in carcere non torna a commettere lo stesso reato una volta uscito, mentre chi è lasciato a se stesso torna a delinquere – secondo i dati ministeriali – nel 75% dei casi.
“Il nostro modello di giustizia è lo stesso di quello dell’antica Mesopotamia, la legge del taglione, con la sola differenza che a un furto non corrisponde più un altro furto, ma una pena detentiva – questa la tesi del professor Luciano Eusebi, ordinario di Diritto Penale presso l’Università Cattolica di Milano e membro di diverse commissioni ministeriali per la revisione del regime sanzionatorio –. Però rimane il principio della reciprocità dei comportamenti, secondo il quale a un’azione negativa deve seguirne un’altra di pari entità”. In questo modo la pena detentiva “è tutt’altro che una buona soluzione. È solo sofferenza commisurata alla gravità del reato. Il ruolo del giudice è ridotto a quello di matematico che compie un calcolo aritmetico senza definire un percorso riabilitativo. A posteriori si vuole che a questo trattamento segua il recupero, ma è difficile che qualcosa concepito secondo il modello del ‘negativo’ (dell’azione intimidatoria sulla psicologia del detenuto che ha come effetto la sola neutralizzazione della sua persona) possa dare frutti nel campo del «positivo»”. E così ci ritroviamo un sistema penale inefficiente.
Un concetto di giustizia che il professore considera pericoloso e “moltiplicatore di male”: “Nei secoli, molti popoli si sono sentiti giustificati a intervenire militarmente attraverso guerre considerate ‘giuste’. Hitler stesso ha agito secondo questo schema, giudicando negativamente prima i portatori di handicap, poi gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali…”.
Parole dure quelle usate dal prof. Eusebi durante l’incontro organizzato dalla Libera Università Popolare “Igino Righetti” a Rimini: l’esperto con passione si batte da tempo per una revisione del concetto di Giustizia nella sua interezza. La proposta? “Dinanzi al negativo, non ripetere il negativo, ma fare un progetto positivo. Non auspico un sistema penale più debole, ma più capace e più umano. È certamente una strada più impegnativa, ma è la nostra stessa Costituzione ad essere orientata verso di essa. L’articolo 2 ha compiuto una rivoluzione quando afferma che lo Stato ‘riconosce’ i diritti inviolabili, invece di usare termini come ‘concede’ o ‘istituisce’. Esso si mette quindi al servizio delle persone, si inverte il rapporto”. E ancora, “con l’articolo 3 la Costituzione sostiene che la dignità sociale non dipende dal sesso né dalla razza, quindi prospetta un modello di vita che non si fonda sul giudizio delle condizioni personali o sociali dell’altro, ma sull’uguaglianza. Anche l’altro è portatore di dignità, quindi non si può agire col do ut des. La Giustizia non deve essere una bilancia, ma un’azione nel rispetto della dignità altrui”.
E poi bisogna investire sulla prevenzione, “che è l’unico modo per lo Stato, in alternativa al regime totalitario, di avere controllo e garantire l’ordine”. Afferma Eusebi: “Una persona recuperata chiude posti di lavoro alla criminalità e rafforza l’autorevolezza della legge in quanto svolge un’azione preventiva per la società. Infatti, ciò che teme di più la mafia è la persona recuperata”.
Perché nulla cambia? “Manca il coraggio nei politici. La verità? Con queste misure non si vincono le elezioni”.
Mirco Paganelli