Angela Micheli è una artista ben nota; ed è nota soprattutto come “l’artista degli abbracci”: abbracci di mamme, abbracci di bambini, abbracci di bambole, con lunghe braccia che stringono, larghe mani che si intrecciano, grossi piedi che sostengono un’umanità grave. È vero che a volte tra quegli abbracci si affacciano altri temi, per esempio quelli della fierezza della madre, delle sue stanchezze, delle sue delusioni, ma sempre con una riservatezza contenuta, perché nelle sue opere è comunque l’affetto, l’affetto tutto umano e sensuale ed esclusivo della mamma per il figlio che si esprime di preferenza, impetuosamente e istintivamente, e con una freschezza davvero genuina.
La scultrice degli abbracci, la scultrice degli affetti materni, non poteva alla lunga sottrarsi al fascino dell’abbraccio più grande, alla suggestione dell’amore più intenso che sia possibile immaginare: quello di Dio che abbraccia l’umanità inviandole un Figlio fatto carne; un Figlio che le viene donato e che, piccolo, viene abbandonato alle sue cure.
Ed ecco l’opera qui riprodotta: un’opera nuova, un po’ in tutti i sensi, nel percorso artistico della scultrice; perché questa volta l’abbraccio della Madre rimane come sospeso e diviene gesto di contemplazione, di adorazione.
Il Bambino è appena nato, e Maria è la sola ad avere la vera, la piena consapevolezza del prodigio che si è compiuto. Certo anche per Lei verrà, appena più tardi, il momento dell’abbraccio, dell’abbraccio amoroso e tenero della madre per il figlio; ma questo primo momento è quello della contemplazione, della contemplazione adorante. E comunque il suo non sarà mai un abbraccio solitario ed esclusivo, perché comprenderà tutta l’umanità, che già si affaccia al mistero di quella nascita con la presenza di Giuseppe e di un timido, ingenuo pastore bambino. Poi, lo sappiamo bene, arriveranno in tanti ad adorare, stupiti, e quell’abbraccio “sospeso” si scioglierà, si aprirà nell’includere, nell’accogliere i poveri e ignoranti pastori e i ricchi e sapienti re dell’oriente, i protagonisti dei nostri affollati presepi.
Forse c’era un solo assente in quella notte luminosa: l’oste che aveva respinto due poveri stranieri in difficoltà “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Luca, 2,7). Il vangelo non ne parla. E certo non è entrato in alcun modo nelle fantasie della scultrice. Che questa volta ha prodotto, con intuizione e urgenza d’artista e con un linguaggio limpido e semplice, un’opera in cui è presente un tipo di amore materno che non è più solo umano ed esclusivo.
Questo ci è sembrato di cogliere nell’opera qui presentata quando è stata esposta per la prima volta nell’atmosfera spoglia e incantata delle grotte tufacee di Santarcangelo (2010); e che ci è sembrato bello proporre alla meditazione di tutti in questo santo Natale grazie a una suggestiva fotografia di Gianni Donati.
Pier Giorgio Pasini