Questione di sopravvivenza. In Dunkirk non si parla di strategia militare, non ci sono le grandi battaglie fissate nelle pagine dei libri di storia. Ci sono uomini (inglesi ma anche francesi) desiderosi di ritornare a casa (la patria è così vicina eppure appare lontanissima), presi a bersaglio dalle forze tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale. Siamo a Dunkerque, Francia (“Dunkirk” per i britannici) e la Storia ci ricorda il ritorno a casa di 340mila persone grazie all’appoggio delle imbarcazioni civili. Lo “spirito di Dunkirk” rivive in questo efficacissimo war-movie orchestrato dall’ottimo Christopher Nolan con scansioni temporali differenti (una settimana per gli eventi a terra, un giorno per quello che succede in mare e solo un’ora per i duelli aerei) destinate ad incastrarsi alla perfezione nel finale. Un salvataggio rievocato con rara maestria cinematografica, girato in pellicola 70mm (cercate una sala con schermo ampio), assolutamente “interattivo” poiché sembra di partecipare direttamente all’azione, con una tensione nervosa che accompagna la visione dei 106 minuti sufficienti a raccontare il tutto. Un racconto costruito con pochi dialoghi, senza la ricerca di strazianti scene ad effetto e senza la complessità tanto amata dal regista di Inception, in questa occasione preciso e lineare.
Ci sono attori noti (Tom Hardy, Kenneth Branagh, Mark Rylance e Harry Styles, membro degli One Direction) e meno noti (Fionn Whitehead) ma ciò che conta è la coralità dell’insieme, tra paura e coraggio, terrore e orgoglio, mentre risuonano le parole di Winston Churchill: “non ci arrenderemo mai”, lette da uno dei “soldatini” a bordo di un treno inglese, con la folla acclamante il ritorno degli eroi, salvi grazie al forte spirito comunitario.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani