Due giorni e una notte: il limitato tempo è quello che ha a disposizione l’operaia Sandra (Marion Cotillard), magra, impaurita, con la stessa canottiera per quasi tutto il film (non c’è tempo per cambiarsi), disperata ma determinata a convincere i colleghi a non accettare il bonus economico immediato promesso dall’azienda in vena di licenziamenti, per sedersi nuovamente al tavolo delle trattative sindacali. Ma i soldi “subito” fanno gola, in tempi cosi incerti e i due giorni e la notte della protagonista si trasformano in una gara contro il tempo, cercando di trovare i “cuori buoni” disposti ad accettare la sua proposta.
La crisi sociale e lavorativa secondo i fratelli Dardenne: il loro cinema rigoroso e senza fronzoli, giustamente premiato in più occasioni (tra cui due Palme d’Oro a Cannes), riflette con serietà e incalzante inquietudine quotidiana lo stato d’animo di persone come Sandra, che incarnano le ansie di migliaia di persone sospese su un baratro dove si rischia di cadere in ogni momento, soccombendo alla disperazione. Per fortuna c’è la famiglia (il marito è interpretato da Fabrizio Rongione), i figli, la solidarietà di qualche collega-amico.
Sandra “cade”, si rialza, cade di nuovo nel calvario quotidiano di una vita che non gli sta riservando benefici e la sua lotta in più tratti appare la donchisciottesca tenzone contro i mulini a vento. Sandra può essere vista come una che combatte per i propri interessi, ma il finale inatteso ci mostra ben altro. E allora Due giorni, una notte è opera significativa, vibrante e preziosa, con un’attrice bravissima (vincitrice di un Oscar con La vie en Rose) e splendida anche senza un briciolo di glamour: non c’è tempo per rossetto e mascara se combatti per la dignità sociale!
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani