Lo conosciamo come don Fiorenzo di San Savino, ma in realtà è nato a Cattolica nell’ormai lontano 1951. Dopo Cattolica è emigrato in Svizzera e solo a 21 anni è tornato in Italia stabilendosi a San Savino. È diventato prete l’8 maggio 1983.
Cosa ha fatto in tutti questi anni, a partire dai tempi dell’adolescenza e dopo il suo ritorno in Italia?
“A Cattolica ho vissuto fino ai 17 anni, con mia mamma e mio fratello … mio padre era emigrato in Svizzera per lavoro. Di quegli anni ricordo che ero un po’ scavezzacollo: facevo arrabbiare la mamma, perdevo tempo in giro e studiavo poco. Il momento più bello, soprattutto quando ero ancora bambino, era il ritorno di mio padre per le feste di Natale: era un momento bello perché il babbo era di nuovo con noi e perché portava ciondoli di cioccolato per ornare l’albero di Natale. Diventando un po’ più grande mio padre pensò bene di portarci tutti con lui in Svizzera, visto che io al liceo combinavo ben poco, mentre in Svizzera avrei potuto dare una mano all’economia familiare”.
A 17 anni, lasciare il proprio paese, la familiarità dei luoghi e gli amici deve costare un poco…
“Ma non più di tanto, perché in cambio si riuniva tutta la famiglia. E poi mi allettava anche l’idea di non andare più a scuola e cominciare a guadagnare qualcosa per me e per i miei”.
E hai trovato subito lavoro?
“Si, mio padre aveva già sondato il terreno, così mentre mia madre lavorava in sartoria, io ero impiegato in una ditta tessile, nella tintoria. Mi ci sono acclimatato bene e, penso, facevo anche bene il mio lavoro. Ricordo che un giorno il caporeparto era assente e bisognava fare il colore per le tinte delle stoffe. Mi ci sono buttato e il lavoro è riuscito molto bene. Da quella volta mi hanno chiamato il chimico della ditta. Penso che questo periodo mi abbia aiutato molto a diventare più uomo, cioè più responsabile e con meno paure”.
Dopo 4 anni, il ritorno in Italia, a San Savino. Perché a San Savino?
“Perché lì mio padre aveva trovato da comprare una casetta e un pezzo di terreno, da coltivare in vista della pensione; e poi perché in paese avevamo anche dei parenti”.
Ed è stato tornando in Italia che è emersa la tua vocazione?
“No, non ancora. Appena tornato ho dovuto fare il servizio militare … 15 mesi passati tutti a Palermo. Un po’ lontano da casa, ma sono stati mesi belli: di giorno andavo al mare e di sera ero di ronda alla stazione”.
E allora è stato l’esilio di Palermo a svegliare in te la vocazione.
“Non avere fretta. Finito il militare ho trovato lavoro a Mulazzano come metalmeccanico… Un lavoro che mi è costato due dita. Dopo tre anni ho trovato un altro lavoretto come corriere di una valigeria a San Savino. Nel frattempo, con don Romano Migani, parroco di Cerasolo, avevamo dato vita al Gruppo giovanile di Vicariato. Eravamo molto legati all’esperienza di Casa Betania di Coriano, la prima Casa Famiglia di don Oreste, tanto che poi abbiamo anche aperto un’altra timida esperienza di accoglienza a Sant’Andrea in Besanigo. Ecco, è stato da queste esperienze di vita coi più bisognosi, da questi timidi tentativi di servizio che ha incominciato a farsi strada in me l’idea del prete”.
Avevi già 25 anni abbondanti e senza un diploma di scuola superiore. Come hai fatto ad entrare in Seminario?
“Per incominciare sono andato ad abitare con don Romano a Cerasolo, e intanto mi sono messo di buona volontà per conseguire il diploma magistrale. Poi sono entrato stabilmente in Seminario per i normali corsi di teologia”.
Da adesso in poi la tua vita può scorrere normalmente, come quella di tutti i seminaristi e i preti.
“Si tratta di intenderci sulla normalità di vita. Diventando diacono sapevo che il Vescovo mi avrebbe destinato a qualche servizio in diocesi; solo mi auguravo con tutto il cuore di non andare a finire in una parrocchia di mare. E infatti mi ha mandato in Seminario, per 6 anni come educatore, per altri 7 come Padre spirituale, e ancora per 3 come Rettore, per finire con un anno e mezzo di nuovo come Padre spirituale”.
So che nell’ultimo periodo di vita in Seminario eri anche assistente spirituale presso la comunità di San Patrignano.
“Nel corso di una riunione di Presbiterio il vescovo Mariano chiese ai preti chi fosse disponibile per questo servizio. Diversi alzarono la mano. Io mi trovavo nella cabina di regia per regolare il volume dei microfoni. Anch’io alzai la mano, certo che comunque il Vescovo non mi avrebbe visto, nascosto dietro i vetri. E invece fra i tanti disponibili è toccato proprio a me. Gli feci notare che non avevo le competenze per un lavoro così delicato, ma lui mi disse semplicemente: tu sai cadere sempre in piedi”.
San Patrignano è sicuramente un argomento molto delicato, ma puoi raccontare ugualmente qualcosa di bello capitato in questi anni della tua lunga permanenza?
“Vedere tanti giovani, quasi ridotti a larve e poi capaci di riscattarsi, è sicuramente l’esperienza più bella. Ma ti racconto l’ultima. Proprio in questi giorni andrò a Subiaco per l’ordinazione presbiterale di don Maurizio Lollobrigida. Questo giovane è stato a San Patrignano per 8 anni: dopo il recupero terapeutico ha ripreso e concluso i suoi studi di giurisprudenza e, diventato avvocato, ha prestato il suo servizio legale alla Comunità. Quando mi ha manifestato il suo desiderio di consacrarsi nella vita sacerdotale, ne parlai al vescovo Mariano, ma decidemmo di lasciar trascorre ancora un po’ di tempo per verificare meglio il cammino di maturità umana e spirituale. Nel frattempo, essendo originario di Subiaco, lì ha conosciuto le Suore salesiane di Maria Ausiliatrice ed ha deciso di intraprendere il suo cammino di consacrazione coi Salesiani. E adesso diventa prete”.
Tornando a te, nella tua vita di prete non sei stato solo in Seminario o a San Patrignano…
“Lasciato il Seminario, dal 2000 sono parroco. E in questi 18 anni c’è stato una grande evoluzione anche nell’organizzazione parrocchiale. All’inizio sono diventato parroco a Ospedaletto, poi mi sono trovato moderatore della Zona pastorale, oggi sono parroco in solido con don Stefano di Ospedaletto, Cerasolo, Coriano e Passano, con anche le altre chiese succursali”.
Molte esperienze hanno arricchito di senso la vita di don Fiorenzo. Ormai spera di poter andare in pensione … ma non come prete: per questo servizio la parola fine la mette solo il riposo eterno.
Egidio Brigliadori