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Due contemporanei a confronto

Orquestra Sinfónica do Porto Casa da Música © Ricardo Sacramento

Alla Casa da Música di Porto un concerto di due autori del nostro tempo con la partecipazione del Quartetto Arditti 

PORTO, 21 settembre 2024 – Un interessante confronto tra due autori con due modi diversi di concepire la musica. E nonostante i brani ascoltati abbiano circa la stessa durata, siano nati a distanza di pochissimo tempo uno dall’altro e i due compositori appartengano a quella generazione passata attraverso l’esperienza dei leggendari Ferienkurse di Darmstadt. Ruf (termine tedesco che in italiano si può tradurre con “chiamata”) di Emmanuel Nunes è stato infatti composto tra il 1974 e il 1977; Tanzsuite mit Deutschlandlied (Suite per danza con inno tedesco) di Helmut Lachenmann è del 1980.

Il direttore Stefan Blunier alla guida dell’Orquestra Sinfónica do Porto Casa da Música © Ricardo Sacramento

Protagonisti di questo inedito e interessantissimo abbinamento l’Orquestra Sinfónica do Porto Casa da Música che, prima di partecipare all’imminente forum della Radio Bavarese (manifestazione che esiste dal 1945) dedicato alla musica contemporanea, ha presentato in anteprima il concerto nella propria città. Si è tenuto ovviamente nella Sala Suggia, la più capiente della Casa da Música: avveniristico edificio polifunzionale di Porto realizzato dall’architetto olandese Rem Koolhaas, divenuto – fin dalla sua inaugurazione, nel 2005 – una vera e propria icona europea della capacità d’innovare.

Guidati dallo svizzero Stefan Blunier, che dell’orchestra è direttore principale, gli strumentisti hanno prima reso omaggio a Nunes, fra i maggiori musicisti portoghesi (è scomparso nel 2012), poi a Lachenmann noto soprattutto per aver ricevuto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2008. Nell’esecuzione di questo secondo brano agli strumentisti si è poi aggiunto il Quartetto Arditti.

Ruf per orchestra ed elettronica ad libitum è forse la pagina più famosa di Nunes. Non stupisce perché il brano è straordinariamente suggestivo: all’ascolto dà l’impressione che l’autore abbia metabolizzato con totale naturalezza la grande tradizione strumentale tardo sinfonica – pare quasi di avvertire quegli echi della natura che hanno percorso l’intera stagione romantica, fino a culminare in una citazione di Das Lied von der Erde di Mahler – coniugandola a una minuziosa attenzione al colore. Potendo contare su un’efficace spazializzazione del suono e sull’ottima acustica della sala, il direttore ha saputo esaltare il sottile intreccio strumentale – Nunes ha scritto le parti per ogni singolo strumentista e non per sezioni orchestrali – mettendo in grande rilievo gli impasti timbrici. Fondamentale anche la disposizione: pianoforte al centro, viole all’esterno con i primi violini arretrati; contrabbassi sui due lati del palcoscenico, così come le famiglie di fiati distribuite in più punti. E se l’uso dell’elettronica all’epoca della composizione poteva essere ancora del tutto pionieristico, oggi risulta  pienamente acquisito: sicché l’interesse si sposta – più che su soluzioni ingegnose tipicamente anni settanta – sugli straordinari esiti estetici, questi davvero senza tempo.

Totalmente diverso l’impatto con le aspre sonorità di Lachenmann, dove l’elettronica viene messa al servizio di una concezione musicale basata su suoni materici, esplorati fino alle loro più intime possibilità. Dunque, non tanto note in senso tradizionale, ma persino rumori che assumono una nuova semantica – in questo il musicista tedesco è stato davvero un rivoluzionario – fino a diventare suoni veri e propri. Nell’esplorazione sonora che è pure alle radici di Tanzsuite mit Deutschlandlied per quartetto di corde e orchestra si è rivelata fondamentale l’incredibile bravura dell’Arditti. Il leggendario quartetto fondato nel 1974 dal violinista inglese Irvine Arditti (fra l’altro, è oggi l’unico rimasto della formazione originaria), coadiuvato da Ashort Sarkissjan, secondo violino, Ralf Ehlers, viola, e Lucas Felds, violoncello, ha mostrato la propria impareggiabile bravura. Con loro ogni indicazione della partitura diventa suono: anche quando l’archetto viene appoggiato nei punti meno canonici della tastiera – persino sui piroli – non si generano mai rumori, ma sonorità dalla fisionomia ben precisa. Per il resto dell’orchestra, galvanizzata da presenze così carismatiche, è stato inevitabile dare il meglio di sé. E Blunier – con la sua guida duttile, sensibile e precisa – li ha saputi coordinare con mano sicura, mantenendo intatta la tensione di cui è carico il brano e facendo avvertire in filigrana quei lontanissimi echi di danza su cui è costruita la suite.

Un’ottima prova che costituisce sicuramente il miglior viatico per l’imminente esecuzione in Germania che attende questo programma. E si configura già come un successo annunciato.

Giulia  Vannoni