Mentre una simpatica brezza settembrina ci rinfresca dal sole che a Roma ancora picchia, al riparo del grande colonnato di San Pietro, siamo in attesa di San Paolo che ci ha dato proprio qui appuntamento per riprendere i nostri colloqui durante l’anno paolino. A dir la verità siamo un po’ emozionati. Infatti Paolo ci condurrà nel cuore dei palazzi vaticani, là dove si può entrare solo con appositi permessi, per farci vedere la Cappella Paolina che si trova a lato della più famosa Cappella Sistina. Questa cappella fu costruita nel 1537 da papa Paolo III Farnese. In essa, Michelangelo, dipinse due grandi affreschi. Nella “Conversione di Saulo” la scena si concentra tutta nel gesto di quest’ultimo, persecutore convertito che rinasce ad una nuova vita. Nella “Crocifissione di San Pietro” la luce colpisce in pieno San Pietro e l’erezione della croce simboleggia la fondazione stessa della Chiesa. In tutto questo Michelangelo ha inteso celebrare la conversione ed il martirio come momenti decisivi della vita di un cristiano.
San Paolo ci viene incontro dal portone di bronzo e, facendoci passare tra un gruppo di turisti giapponesi che fotografano le guardie svizzere, ci spinge su per lo scalone regio del Bernini. I rumori di Piazza San Pietro sono dietro di noi… “Quando ho visto per la prima volta questi tesori d’arte e di architettura con cui i cristiani nei secoli hanno abbellito il Colle Vaticano, mi sono commosso” dice dopo aver tratto un sospiro, “lo so che tutta questa magnificenza può anche contrastare con la semplicità evangelica, ma lei si deve rendere conto che qui, su questo colle i cristiani di Roma, con Pietro in prima fila, nel 64 d.C. hanno dato la loro testimonianza col martirio nella prima grande persecuzione di Nerone. Qui ai miei tempi c’era uno Stadio dove si facevano spettacoli di Gladiatori, il Circo, costruito dall’Imperatore Caligola, venne abbellito da Nerone che lo inglobò nei suoi possedimenti. Proprio in questo luogo furono crocifissi molti cristiani, ed anche Pietro. Poi alcuni fratelli lo seppellirono in un cimitero che si trovava proprio a monte della collina. I vostri archeologi hanno ritrovato il luogo preciso non più di sessant’anni fa. Nella Cappella Paolina il vostro Michelangelo ha voluto unire la crocifissione di Pietro con la mia conversione. Mi è sempre sembrato un grande onore”.
Timidamente rivolgiamo a Paolo la nostra prima domanda: dovevamo affrontare il suo secondo viaggio missionario, quello svoltosi negli anni 49-52 (At 15,36-18,22), che segnò il passaggio del cristianesimo in Europa.
“Fu il mio primo viaggio per così dire da capo-missione, perché Barnaba preferì imbarcarsi per Cipro con Marco (avevamo discusso perché a me Marco sembrava troppo giovane) mentre io insieme a Silvano ci incamminammo alla volta della Siria e della Cilicia. Varcata la catena del Tauro, raggiungemmo le città evangelizzate durante il primo viaggio: Derbe, Listra (dove incontrammo il giovane Timoteo), Iconio, Antiochia (dove Luca si unì a noi) e quindi raggiungemmo la Galazia, puntando per Troade cioè l’antica Troia. Qui feci un sogno ispirato: un Macedone (cioè un Greco) che mi implorava perché andassimo ad evangelizzare anche la sua terra. Fu il passaggio del vangelo in Europa! E la prima cristiana che fu battezzata nel vostro continente fu a Filippi una donna di nome Lidia, una donna straordinaria, un vero maneger dell’antichità, una donna alla quale non si poteva opporre nessun rifiuto (Atti 16). Essa ci fu di enorme aiuto nell’organizzazione pastorale”.
Fu una missione tranquilla?
“Tutt’altro, oserei dire quasi rocambolesca. Nella Macedonia nacquero i primi problemi con i romani, i quali videro subito nella nuova fede un contrasto insanabile con le loro usanze di “religione civile” (una religiosità più vicina alla ritualità esteriore e di propaganda, piuttosto che all’interiorità) e soprattutto con il culto all’Imperatore. Fuggiti dalla Macedonia passammo per Tessalonica e Berea dove fondammo due piccole comunità. Qui, verificatisi ancora dei problemi a casa delle signore “bene” di quella città, ci dividemmo: Silvano e Timoteo rimasero mentre io mi rifugiai nella capitale Atene… ero proprio curioso di visitare quella che era la più famosa città della cultura (Atti 17)”.
In quell’occasione lei pronunciò il suo famoso discorso all’Aeropago, cioè sulla piazza dell’Università di Atene…
“Sì. E diciamolo senza mezzi termini, fu un fiasco! O meglio (sorride Paolo, accorgendosi di essere stato un po’ troppo severo con se stesso) fu un’esperienza che segnò tutto il mio successivo ministero. Volli affrontare la cultura del tempo con l’illusione che gli uomini di scienza mi avrebbero capito. Cercai di annunciare loro Dio e Gesù partendo solo dal loro punto di vista, cioè quello di un Dio onnipotente e sereno… ma quando arrivai al fatto della morte e risurrezione di Cristo… mi girarono le spalle”.
Fu molto amareggiato per questa sconfitta?
“Sì. Anche perchè ero da solo. In realtà alcuni si interessarono al mio annuncio, ma mi bruciava nell’orgoglio il fatto che non ero riuscito ad interpellare le menti eccelse di allora. Però mi servì tantissimo. Sceso alla vicina Corinto meditai molto su quel fatto e mi ripromisi che non avrei mai più annunciato il vangelo a partire da un discorso di sapienza ma solo a partire dalla “parola della Croce” come avrei scritto due anni dopo nella mia prima Lettera ai Corinti”
Paolo stringe gli occhi e dice con lentezza: “Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini“ (1Cor 1,21-25).
Queste parole sono molto forti. Dovremmo dunque pensare che il cristianesimo si appoggia su di un discorso paradossale, dove la sapienza umana ha poco spazio, mentre la fede cieca nella potenza di Dio ha un valore altissimo?
Paolo assume uno sguardo molto penetrante, sembra quasi seccato dalla nostra domanda: “Ma non capisce? Alla base della nostra fede non c’è un Dio vittorioso che salva l’uomo con degnazione. C’è Gesù crocifisso che ci salva col suo amore, con la sua impotenza di crocifisso. Partire da questa riflessione ribalta tutti i nostri ragionamenti di potenza e di successo. L’amore di Dio non è una dimostrazione della sua forza, ma della sua condivisione nella debolezza umana. E secondo lei questo ragionamento non possiede una forza capace di costruire una cultura ed una civiltà? Cosa hanno fatto gli uomini per millenni, hanno costruito le loro civiltà sul sopruso e sulla violenza. E a pagare sono stati sempre i più deboli. Dio si è fatto debole coi deboli per mostrare che non è la potenza che vince, ma l’amore! La ragione umana può e deve partire da questo messaggio”.
È per questo dunque che ci ha portato qui nel cuore del Vaticano e che ci ha mostrato questo dipinto della crocifissione di Pietro? Per mostrarci che la forza del cristianesimo è racchiusa in questo dono di sé fino all’estremo?
“Sì, caro amico, io l’ho imparato quel giorno sulla Piazza di Atene. La cultura imbevuta di vangelo non deve lasciarsi affascinare dalle armi del potere o della propaganda. Dio non vuole i nostri piccoli successi, ma vuole la nostra fedeltà al suo amore. Dobbiamo certo usare tutti gli strumenti per comunicare con gli uomini, ma sappiamo che alla base della nostra speranza c’è la forza del suo amore che sbaraglia ogni violenza ed ogni peccato”.
Ma così non si rischia di essere deboli, incapaci di reagire di fronte ai continui attacchi alla pace ed alla giustizia? Come possiamo pensare di affrontare il pensiero umano con armi spuntate?
Paolo sorride e poi dice: “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno (1Cor 2, 12-15). Quando parlo di uomo spirituale non intendo una persona incapace di ragionare, dico solo che i nostri ragionamenti sono tanto più veri quando sono alimentati da uno sguardo sulla realtà che parta dall’amore di Dio e dalla salvezza che lui ci ha donato“.
(7– continua)
a cura di G. Benzi