Le donne riminesi si laureano più degli uomini ma faticano di più a trovare un impiego. Anche rispetto alle altre colleghe emiliano-romagnole. La crisi ha contribuito in parte a ridurre lo scarto dai colleghi maschietti ma il ritardo resta. Arretrano le imprese femminili mentre riprendono quota le libere professioniste, circa duemila nel territorio
Pari opportunità? Non sul posto di lavoro per le donne riminesi. Generalmente più preparate, qualificate e più numerose dei maschietti nella fascia di popolazione in età da lavoro (15-64), ma con meno opportunità di trovare un impiego e di mantenerlo nel tempo. Sono i numeri a dirlo, numeri che mostrano, tra l’altro, come la situazione delle “signore” di questa provincia sia peggiore di quella che si registra nel resto della regione.
Partiamo con qualche accenno demografico. Su 336mila residenti (italiani e non) della provincia di Rimini, le donne sono il 52% con un’età media di 46 anni a fronte dei 43,4 anni dei maschi. In età da lavoro (15-64 anni) ci sono 110mila donne contro 106mila uomini, ma è soprattutto sopra i 65 anni che il sorpasso appare ancora più evidente, con 41,5mila femmine contro 32mila maschi. Spiegazione semplice: le donne vivono più a lungo e hanno una speranza di vita di 84 anni, contro i 79 degli uomini.
Questi numeri sarebbero diversi se non ci fossero le immigrate: queste sono circa 21mila su un totale di 174mila residenti “in rosa” (il 56% di tutti gli immigrati residenti), con una età media che non arriva a 37 anni, di cui quasi 17mila (81%) in età per lavorare. Senza dimenticare che il contributo delle donne immigrate ha evitato che fosse ancora più negativo il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) della popolazione provinciale, che dagli anni Novanta ad oggi è di segno meno per oltre mille unità (più decessi che nascite), nonostante un neonato su cinque abbia oggi una mamma straniera (erano appena quattro ogni cento nel 2000). In altri parole: senza i figli degli immigrati la popolazione locale sarebbe già in discesa, più vecchia, e quella in età da lavoro, già in declino, ancora di meno. Le ultime notizie di una natalità 2015 ancora in discesa non migliorano la situazione.
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E’ almeno dagli anni Duemila che il numero di donne che si laureano, tra le residenti in provincia di Rimini, supera costantemente quello degli uomini. Nel 2014 (ultimo aggiornamento) su un totale di circa 1.600 giovani residenti che si sono laureati, 960 (il 59%) sono donne. Percentuali diverse, ma sempre con una maggioranza femminile, anche tra i diplomati.
Nelle iscrizioni all’Università le donne di Rimini, a differenza degli uomini, preferiscono di più architettura, economia, giurisprudenza, farmacia, lettere e filosofia, lingue e letterature straniere, medicina e scienze della formazione. Non mancano rappresentanti del “gentil sesso” anche in ingegneria e matematica, o fisica, ma in queste facoltà sono molto meno numerose.
Il mercato del lavoro provinciale non sembra però preparato a dare un lavoro adeguato a queste nuove risorse umane, che con le loro famiglie hanno tanto investito nella formazione.
La crisi sembra averle relativamente avvantaggiate, ma in una fase di declino dell’occupazione la promozione ha un sapore un po’ amaro. Infatti, mentre dal 2011 al 2014 i maschi occupati sono scesi da 81 a 76mila, le donne sono salite da 58 a 59mila, recuperando mille posti dei cinquemila persi dagli uomini. Più che altro si è trattato di limitare i danni, magari da parte di donne costrette a cercare un lavoro dopo la perdita del posto di qualche familiare, con opportunità soprattutto nei settori del commercio, turismo e servizi.
In ogni modo, l’ascesa occupazionale delle donne, che oggi rappresentano il 44% di chi ha un lavoro, accompagnata dalla discesa degli uomini, ha contribuito a ridurre la forbice provinciale tra il tasso di occupazione maschile e femminile (le persone che lavorano sul totale) dal 22 al 17% (la stessa differenza è al 19% in Italia). Ma questo risultato non può offuscare una realtà poco rosea che si registra già prima della crisi (scoppiata nel 2008): il costante ritardo del tasso di occupazione femminile riminese rispetto alla media regionale, che nel 2014 è sotto del 6% (52,2% contro 59,1%).
E non può essere una sorpresa che dove le opportunità di lavoro sono minori, è giocoforza che sia più alta la disoccupazione, aumentata, per le donne di Rimini, dal 6,35% del 2008, al 13,5 del 2014 (9,1% quella degli uomini). Praticamente è raddoppiata in sei anni. Nel 2014, il tasso di disoccupazione femminile regionale è quattro punti di meno.
Ancora più preoccupante la disoccupazione delle giovani donne, che ha raggiunto il 32% nella fascia d’età 18-29 anni, contro il 23% dei maschi. [/toggle]
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L’aumento della disoccupazione, femminile oltre che maschile, accompagnata da una maggiore scolarizzazione, probabilmente ha spinto o invogliato molte donne ad intraprendere una attività autonoma. Così, dal 2010 (anno in cui entrano in provincia di Rimini i comuni dell’Alta Valmarecchia) al 2013, le imprese con titolari donna sono passate da 8.040 a 8.235, quando quelle maschili perdevano quasi il doppio. Commercio e turismo (alberghi e ristorazione) i settori dove la presenza di imprese femminili è maggiore.
Ma dopo lo slancio iniziale, nel 2014 il meccanismo si inceppa. Forse molte non sono riuscite a superare la prova del mercato, e così le imprese con titolari donna sono tornate ai numeri pre-crisi. Qualcosa di simile è capitato anche alle imprese guidate da uomini, in una corsa alla retrocessione che ha visto, per la prima volta in tanti anni, il numero complessivo delle imprese provinciali scendere di oltre un migliaio di unità (dal 2010 al 2015 le imprese attive in provincia di Rimini sono passate da 35,7 a 34,3 mila).
Poi ci sono le libere professioniste, circa duemila su un totale provinciale prossimo a settemila, presenti soprattutto tra avvocati, commercialisti, architetti, medici-chirurghi e notai, dove rappresentano più di un terzo della categoria. [/toggle]
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Primo Silvestri