Chi ha incontrato don Oreste Benzi non può dimenticare il suo sorriso, la sua fede determinata, la sua umanità e il suo amore per la Chiesa con una particolare predilezione per gli “ultimi”.
È passato quasi un anno dal suo ritorno alla casa del Padre. L’incontro con il fondatore della Comunità Giovanni XXIII per molti è stato decisivo: siano stati giovani adolescenti, adulti o “freschi” seminaristi. Proprio sul ricordo e sulla testimonianza di alcuni di loro si è svolto, giovedì 11 settembre, presso la parrocchia de “La Resurrezione”, l’incontro pubblico sul tema “Don Oreste parroco ed educatore”.
Il “marchio”di don Oreste
“Non siamo qui per una memoria nostalgica e sterile dei bei tempi di una volta – premette don Egidio Brigliadori, moderatore della serata e parroco di Santa Maria Assunta di Coriano, lo stesso paese che lo ha visto giovane studente prestare servizio nella prima casa-famiglia fondata da don Oreste -. È un ricordo che ha determinato le nostre vite e costruisce ancora questo presente.
Don Oreste non è stato solo il mio educatore e parroco, ma è stato anche un “papà” energico che mi ha indicato il cammino da compiere, anche quello spirituale, ricordandomi che il tempo non è nostro se altri ne hanno bisogno”.
L’insegnamento e la testimonianza di don Oreste, fin dal tempo in cui, in interminabili giornate, accoglieva tutti nell’angusto stanzino del Seminario di via Isotta, ha “marchiato” molti giovani che poi, nel corso degli anni, hanno avuto importanti responsabilità nella società civile.
I sogni non sono impossibili
“Ho conosciuto don Oreste nel 1954 insieme ad altri giovani quali Aldo Amati, Stefano Zamagni, Domenico Valgimigli, Michele La Rosa, Piergiorgio Grassi … – ricorda, con commozione, il dottor Luciano Chicchi –. È stata un’esperienza esaltante per quanto, don Oreste, ci ha trasmesso con grande forza. Prima di tutto il “senso della vita”, cercando di rispondere alle domande: perché vivere? Con quale fine? Che rapporti hai con le tue pulsioni giovanili?…
Mettere ordine nella nostra esistenza, di ragazzini quindicenni, era un bisogno essenziale. Don Oreste ci ha comunicato che la vita ha un senso grande e quindi non potevamo perderla, ma spenderla per i grandi ideali.
Non ci proponeva una vita facile e comoda, ma di impegno, di servizio e di donazione. Non è stato certo ‘tenero’, ha raggiunto anche ‘durezze’ estreme: di fronte alle prime ‘fidanzatine’, ci diceva di lasciar stare perché dovevamo crescere e scoprire Dio. Questo era possibile solo nell’amicizia del gruppo.
La proposta, il grande ideale, era Gesù Cristo perché trasformasse la nostra vita come un seme che cresceva dentro di noi; un marchio, un fuoco che non si è più estinto, che ha segnato la nostra generazione.
I sogni, c’insegnava, non sono impossibili se ti impegni e riponi la tua fiducia in Cristo”.
Una costante:l’attenzione ai giovani
L’esperienza della casa Madonna delle Vette a Canazei, fortemente voluta da don Oreste, oltre ogni prudenza, ne è un esempio. La sua attenzione verso i giovani è stata presente fin dagli inizi del suo sacerdozio.
“Nel 1949, avevo undici anni, e don Oreste fu ordinato sacerdote il 29 giugno. Nei primi giorni di luglio fu mandato come cappellano a San Nicolò – evidenzia Giorgio Rastelli -. ‘Incontrare’ era il suo stile, così girava per le case invitando ad andare in parrocchia. Nel giro di pochi giorni moltissimi giovani cominciarono a frequentare la chiesa. Era un sacerdote con fare ‘bonario’, ma rigido. Affascinante e molti di noi, durante l’Anno Santo, furono colpiti dal suo pellegrinaggio, compiuto insieme ad un gruppetto di persone, in bicicletta, a Roma. Ci ricordava il nostro essere ‘figli di Dio’ e il coraggio della testimonianza”.
Educati alla purezza del cuore
Nella veste di educatore ritroviamo don Oreste al Liceo Classico di Rimini.
“Coltivava in noi studenti la bellezza e la purezza dell’amore, e ultimamente mi interpellava, chiedendomi consiglio, per vicende di tipo giudiziario – continua il giudice Pierleone Fochessati -. Era un servitore della Verità, anche nei momenti più scomodi. Di fronte agli incidenti, anche mortali, che avvenivano nella strada consolare (davanti alla Chiesa della Resurrezione che porta a San Marino, ndr) allora senza semafori, mi chiese che cosa poteva fare, perché voleva ‘occuparla’, e quali potevano essere le conseguenze. Lo sconsigliai e lui mi ringraziò. Il giorno dopo, naturalmente, lessi sui giornali che la Comunità aveva invaso la sede stradale…”.
La determinazione del nostro ‘fratellino’, riposta fortemente in Gesù, si è fatta sentire molte altre volte. Don Oreste ascoltava, chiedeva consigli… il suo tempo era a disposizione di tutti, soprattutto degli “ultimi”, di chi era messo al margine della società. Il suo numero di cellulare era disponibile per chiunque volesse uscire dalla sua condizione di schiavitù, sia essa la droga o la prostituzione.
In ognuno coglieva il meglio
“Colpiva con il sorriso, la gioia, la speranza e la fiducia che immediatamente trasmetteva a chi lo incontrava – sottolinea Meo Barberis, oggi responsabile del Centro Accoglienza dell’Associazione Papa Giovanni XXIII – Venivo da Torino e, in un periodo non certo felice della mia vita, mi ha fatto capire che ero una persona importante, per lui certamente, ma soprattutto per Dio. Ho scoperto così il grande amore che Gesù ha per ognuno di noi.
Era un educatore perché ‘tirava fuori’ da ognuno quanto Dio gli aveva donato. Riusciva a cogliere la presenza divina e a dare speranza ad ogni persona, anche a chi era nella condizione più disastrata e miserevole. La sua caratteristica principale, però, era il suo educare alla fede soprattutto nei momenti più difficili. Anche lui, come ogni uomo, ha attraversato momenti di avvilimento e di dubbio però alla fine metteva tutto nelle mani di Dio”.
Sempre un passo avanti a tutti
Un passo avanti agli altri, come un profeta, uno che ‘grida nel deserto’, don Oreste, ha testimoniato la sua passione educativa a chi oggi è sacerdote.
“Ho conosciuto don Oreste nei primi anni Ottanta, ero un seminarista ‘sbarbatello’, quando sono stato chiamato a vivere la mia esperienza pastorale nella parrocchia della Grotta Rossa – afferma don Lauro Bianchi – Mi ha dimostrato la sua paternità e da lui sono stato educato con grande pazienza e amore all’attenzione verso le singole persone e alla vita della comunità.
Me lo ricordo come un uomo di fede: si alzava presto alla mattina per pregare ed era solito dire che non si sta in piedi se prima non si sta in ginocchio”.
Il Concilio vissuto
“L’attenzione alla persona, alla comunità, a tutti, con particolare predilezione verso i più poveri. Sono questi i tre aspetti che possono caratterizzare l’opera di don Oreste – conferma don Piergiorgio Farina parroco di San Paterniano di Villa Verucchio e, ai tempi del diaconato, responsabile nella casa famiglia di Santarcangelo -.Il suo stile di vita riprendeva gli insegnamenti del Concilio.
Don Oreste andava avanti senza paura, sapeva ascoltare tutti, credeva nel valore della democrazia, voleva che ognuno dicesse il suo parere e cercava di capire, ma alla fine faceva quello che riteneva più opportuno. Aveva il dono, che è dato a pochi, di ‘andare avanti a tutti’ intravvedendo una strada che non tutti immediatamente vedono. Un prete che è stato anche ‘profeta’, non si è mai adeguato, non per carattere, ma per fede”.
Un uomo innamorato
“Lo Spirito Santo lo ha preso pienamente nella sua umanità e fragilità – conclude Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell’Associazione Papa Giovanni XXIII -. La sua umanità ci ha coinvolto e ci ha accompagnato nei momenti di sofferenza e di tentazione.
Sicuramente don Oreste era “nel mondo, ma non del mondo”. Era veramente incarnato in questa umanità che entrava nella quotidianità e poi si estendeva nella socialità, ma non dimentichiamo la sua dimensione contemplativa. Lui è stato grande perché nonostante i suoi limiti e fragilità era innamorato di Cristo, della Chiesa e del suo sacerdozio”.
Francesco Perez