Nella media Valconca, da Pianventena a Santa Maria del Piano e colli d’intorno, tutti conoscono don Emilio Maresi e don Emilio conosce tutti … o quasi. Si spiega per il fatto che negli anni passati tutti andavano di frequente al santuario di Bonora e lui ne era il Rettore.
Ma prima di diventare Rettore don Emilio cosa ha fatto?
“Ho fatto il cappellano e il parroco. Subito dopo l’ordinazione (29 giugno 1950) monsignor Santa mi ha mandato a Savignano… Ci sono stato 13 mesi poi mi sono ammalato. Allora il Vescovo mi ha mandato a riposare per un mese e mi ha detto: Si vergogni, lei così giovane ad ammalarsi! Poi sono andato cappellano a Serravalle (allora quella parrocchia era ancora della diocesi di Rimini) e alla fine parroco a Castelleale per tre anni”.
Però don Emilio dovrebbe avere una storia anche prima dell’ordinazione sacerdotale.
“Di poco conto. Sono nato il 19 luglio 1926. Sono entrato in Seminario in prima media. Ho fatto tutti gli studi nel vecchio Seminario a Rimini … solo il quarto anno di teologia l’ho frequentato al regionale di Bologna”.
Una vocazione precoce la sua, se risale alla prima media.
“Anche prima. Direi una vocazione nata con me … Non ho mai pensato che la mia vita potesse avere un altro orientamento o un altro scopo”.
E il Seminario era l’unico luogo per coltivare questa vocazione…
“A quei tempi certamente sì. E il Seminario era anche il luogo più qualificato per uno che volesse studiare. E di fatto non tutti quelli che entravano in prima media diventavano preti. Della mia classe siamo diventati preti in sette”.
Torniamo ai suoi primi anni di ministero, agli ani ’50: in che cosa consisteva allora il lavoro pastorale di un prete?
“Principalmente nel creare e mantenere relazioni con la propria gente, attraverso i gruppi, dai bambini ai giovani, agli adulti … nelle famiglie, soprattutto dove c’era qualche anziano o malato a cui portare la comunione. Allora le parrocchie erano molto più piccole e quindi era più facile mantenere relazioni personali. Io poi a Castelleale aveva circa 250 anime, tutte impegnati in agricoltura.
Ci si conosceva tutti e la casa canonica era il luogo di ritrovo per tutti … Non c’erano bar o altri luoghi di ritrovo”.
E tra preti “viciniori” le cose come andavano?
“Direi bene, quasi meglio di oggi. È vero che ogni prete stava nella sua parrocchia a casa sua (e allora di preti ce n’erano a sufficienza per tutti), ma tutti i giorni ci incontravano o nell’una o nell’altra parrocchia per la celebrazione degli uffici, le messe in suffragio dei defunti. E dopo l’ufficio si faceva colazione insieme, chiacchierando del più o del meno. Ci si aiutava nelle confessioni, ci si scambiava la predicazione nei tridui e negli ottavari, si collaborava per i funerali in modo che un prete fosse sempre disponibile per confessare …”.
Dopo l’esperienza pastorale in parrocchia è arrivato il santuario …
“Per me è stato un po’ una sorpresa. Mi ci ha mandato monsignor Biancheri … In un primo momento ho sofferto molto per il cambiamento, perché mi sono trovato molto solo: non avevo più i gruppi che si incontravano in parrocchia, non c’era più il rapporto di conoscenza e amicizia con la gente … È vero, di gente ne incontravo tanta, anche più di prima, ma tutta di passaggio, senza possibilità di relazioni stabili … In poche parole, l’unica pastorale possibile era quella dell’accoglienza. Poi, poco a poco, con tanti si è creata una sorta di relazione spirituale: venivano di frequente al santuario, qualcuno si rendeva disponibile per qualche servizio, un gruppetto ha incominciato a prendersi cura della, liturgia … E così sono passati appena 48 anni”.
Sui suoi 48 anni passati al santuario don Emilio ci scherza un po’ sopra…
“Non sono riuscito a fare niente di buono; ho combinato solo dei guai”.
Eppure tanta gente si ricorda di lei, chi per un matrimonio, che per un battesimo …
”Sì, di matrimoni ne ho fatti tanti, fino a sei in un solo giorno … con l’aiuto di altri preti, naturalmente! Molto meno i battesimi. Negli ultimi anni però non si facevano più né battesimi, né matrimoni”.
Generalmente i santuari sono luoghi molto frequentati per la confessione: a Bonora come andavano le cose?
“Nei primi anni ero solo a confessare: certe volte uscivo dal confessionale stanco morto, ma veramente contento di aver trasmesso qualche raggio della misericordia di Dio. Poi ho cominciato a farmi aiutare dai frati, dai Passionisti in particolare. Nel mese di maggio o per le feste della Madonna c’erano fino a 5 – 6 confessori, dal sabato sera fino alla domenica sera”.
E in 48 anni ha fatto qualche miracolo … con l’aiuto della Madonna, ben intesi?
“Niente miracoli, per carità. Di grazie la gente ne ha ricevute tante, ma tutte dalla Madonna. E anch’io sono stato aiutato tante volte”.
E le sue grazie ricevute ce le può raccontare?
“La Madonna mi ha sempre aiutato nel ministero e protetto nelle situazioni più critiche, come quando i ladri volevano derubarmi. Un lunedì sono stato rapinato in casa, legato e imbavagliato insieme ai miei famigliari. Poi i banditi si sono accontentati dei pochi soldi che hanno trovato in un cassetto e sono fuggiti. Io sono riuscito a slegarmi e a correre con la macchina a cercare i carabinieri. Loro erano ancora nei dintorni e quando mi hanno visto in macchina hanno capito che andavo a denunciare la rapina; mi hanno inseguito e sparato diversi colpi di pistola. Mi hanno anche ferito, ma non sono riusciti a uccidermi, come volevano: la Madonna mi ha certamente protetto perché un proiettile è passato da parte a parte nella macchina”.
Nonostante tutte queste peripezie è arrivato alla pensione. Cosa fa un prete in pensione?
“Fa l’essenziale di sempre: confessa, prega e celebra l’Eucaristia. Sono un pensionato fortunato, accolto nella fraternità sacerdotale di Morciano e do’ una mano in quello che posso”.
Ecco il segreto di avere novanta anni e non sentirli.
Egidio Brigliadori