‘La Dori’ di Cesti al Festival di Musica Antica di Innsbruck per la regia di Stefano Vizioli. Ottavio Dantone sul podio dell’Accademia Bizantina
INNSBRUCK, 24 agosto 2019 – Anche un’opera come La Dori di Pietro Antonio Cesti, che – alternando quasi esclusivamente arie e recitativi – non offre particolare varietà musicale, può trasformarsi in uno spettacolo scorrevole e leggero. Merito di una squadra ben affiatata, che ha trovato il suo punto di forza nella lettura musicale di Ottavio Dantone, nella regia di Stefano Vizioli, brillante e ricca di suggestivi riferimenti visuali, nonché nei dieci interpreti: tutti ottimi attori, al di là dei singoli meriti vocali. E proprio nell’anno in cui si celebrano i trecentocinquant’anni dalla morte del compositore aretino, che scrisse La Dori durante la sua lunga permanenza a Innsbruck (dove andò in scena nel 1657), questo dramma musicale su libretto di Giovanni Filippo Apolloni è stato allestito al Festival di musica antica che si tiene nella capitale del Tirolo.
Pur nella consapevolezze del debito musicale di Cesti nei confronti della scuola veneziana di Monteverdi e Cavalli, lo spettacolo allunga lo sguardo soprattutto sugli sviluppi futuri: l’influenza che Cesti eserciterà sull’opera napoletana, già delineata nella configurazione dei personaggi buffi. Così, oltre ad ammiccare alla mitica scena dei panni stesi nella Locandiera firmata da Visconti e ai riferimenti iconografici (Artaxerse che, all’inizio del terzo atto, è seduto a un tavolo con un teschio appoggiato), abbondano trovate spiritose concepite per alleggerire la staticità dell’impianto drammatico. Il regista ha infatti contrapposto alla scena fissa di Emanuele Sinisi – una quinta che si scomponeva, aprendosi in più pannelli decorati – il notevole dinamismo fisico degli interpreti, come nella commedia dell’arte (particolarmente atletici in palcoscenico gli uomini, impegnati in salti e capriole). A Vizioli va poi riconosciuto il merito di aver facilitato la comprensione di una vicenda, nell’insieme, abbastanza intricata: oltre al fatto che alcuni ruoli sono en travesti, i personaggi si camuffano per celare la propria identità, a partire dalla stessa protagonista che si spaccia per il servo Alì (molto funzionali, in questo senso, i sobri ed eleganti costumi d’ispirazione seicentesca di Annamaria Heinreich).
Per molti aspetti quella di Vizioli è un’operazione speculare alla lettura musicale di Dantone, che – sempre ben assecondato dagli strumentisti dell’Accademia Bizantina – ha messo a frutto la sua esperienza in campo operistico, anche di epoca successiva (il direttore si è talvolta spinto fino alle soglie del romanticismo), e ha impresso alla musica un’apprezzabile varietà, valorizzandone l’andamento drammatico attraverso i contrasti fra i momenti lirico-elegiaci e quelli smaccatamente comici. Lo ha assecondato un cast ben assortito, in cui s’imponeva l’espressivo mezzosoprano Francesca Ascioti – solidi mezzi e voce ben timbrata – che ha saputo dare un rilievo quasi tragico alla figura della protagonista. Affidato a Rupert Enticknap il ruolo dell’innamorato di Dori, promesso sposo però a un’altra principessa: il controtenore non si è limitato a valorizzare solo il virtuosismo vocale, ma è riuscito a fare di Oronte un vero e proprio personaggio, fragile nelle sue incertezze affettive.
Il soprano Francesca Lombardi Mazzulli era una disinvolta e solare Arsinoe, rivale in amore di Dori, mentre una vera sorpresa è stata l’altro soprano, Emöke Baráth (selezionata attraverso il Concorso Cesti), che interpretava con precisione e sicurezza il principe egiziano Tolomeo, travestito però da donna. Tra i personaggi maschili Federico Sacchi ha impresso, grazie alla solida emissione da basso, autorevolezza e solennità ad Artaxerse. Molto apprezzabile, nel ruolo minore di Erasto, un altro basso, Pietro Di Bianco, sicuro nel fraseggio e ben timbrato vocalmente. Divertentissimo e del tutto plausibile nei panni femminili della vecchia nutrice, il tenore Alberto Allegrezza, seppure con qualche scollamento di emissione. Selezionato anche lui attraverso il concorso Cesti, il tenore Bradley Smith – il precettore di Dori – ha evidenziato qualche scompenso vocale, così come Rocco Cavalluzzi, nei panni del servitore Golo, spesso coinvolto in comiche schermaglie amorose con la nutrice. Completava il cast il controtenore caratterista Konstantin Derri, l’eunuco Bagoa dall’aspetto vagamente surreale.
I tre atti sono stati ridotti a due, con un’interruzione al centro del secondo, ma le quasi tre ore di musica scorrono veloci, a dimostrazione che l’opera barocca può essere apprezzata anche dal grande pubblico.
Giulia Vannoni