Al Teatro Pergolesi allestito un dittico che abbina La scuola di guida di Nino Rota al Segreto di Susanna del veneziano Ermanno Wolf-Ferrari
JESI, 20 novembre 2021 – Nel settecento le opere con due soli personaggi erano una consuetudine diffusa, spesso utilizzate come intermezzi per spezzare la monotonia d’interminabili melodrammi. Le piccole proporzioni non hanno tuttavia impedito la nascita di capolavori notevolissimi e il caso più celebre resta La serva padrona di Pergolesi: non solo un gioiello inossidabile rispetto agli assalti del tempo, ma detonatore di una querelle culturale che ha segnato l’intera storia del teatro musicale.
È dunque perfettamente connaturato alla programmazione jesina, cioè alla città natale di Pergolesi, un dittico formato da due fra le poche opere scritte per tale organico nel secolo scorso. La scelta è caduta su La scuola di guida di Nino Rota (1959) e Il segreto di Susanna di Ermanno Wolf-Ferrari (1909): quest’ultima non solo classificata come ‘intermezzo in un atto’, ma – per la presenza di un servo muto accanto alla coppia protagonista – in grado di reggere il confronto a distanza ravvicinata con il capolavoro di Pergolesi.
Musicista oggi quasi dimenticato, il veneziano Ermanno Wolf-Ferrari è stato un autore di respiro internazionale (buona parte della sua attività si è svolta in Germania) e con Il segreto di Susanna ha concepito, insieme al librettista Enrico Golisciani, un’operazione colta e raffinata, evocando con sottile ironia e notevole sapienza teatrale la migliore tradizione operistica: dalla scelta dei nomi della coppia di protagonisti, dove lui è un conte e la moglie si chiama Susanna (come non pensare ai due omonimi personaggi delle Nozze di Figaro?) alle numerose evocazioni parodistiche offerte dall’elegante orchestrazione e che culminano – in un bellissimo finale d’impareggiabile leggerezza – nella smaccata citazione dal Falstaff verdiano, Tutto nel mondo è burla.
Questi aspetti non sono sfuggiti ai giovani strumentisti di The Machine Ensemble, diretti da Gabriele Bonolis, cui spetta il merito di aver ben valorizzato la scrittura musicale, facendone emergere la pregevole orchestrazione. Meno consapevoli sono apparsi invece i due interpreti vocali. Il soprano Angela Nisi, pur corretta, ha disegnato un personaggio a senso unico: è una borghese annoiata e un poco fatua, più che una donna desiderosa di rivendicare il proprio spazio privato (il segreto che Susanna nasconde al marito è il vizio del fumo). Sottodimensionato vocalmente è apparso, poi, Salvatore Grigoli, tanto più che nelle intenzioni di Wolf-Ferrari il personaggio maschile è il vero punto di forza dell’opera.
Il regista Alessio Pizzech escogita un’idea efficace per creare una liaison des scènes tra i due titoli, cominciando dall’affidare i due ruoli femminili allo stesso soprano. Prima è stata eseguita la brevissima opera di Rota: la lezione, impartita da un ingegnere a una signora che al volante si rivelerà un disastro (le sue attenzioni sono tutte concentrate sull’istruttore, interpretato onorevolmente dal tenore ucraino Solodkyy Vasyl), sembra infatti l’ideale per accendere l’immaginazione di un uomo geloso.
Il Conte immagina così che la donna intenta a cimentarsi con la guida – una lezione che culminerà in un appassionato bacio tra allieva e insegnante – sia sua moglie, traditrice, e sarà lui stesso a comunicarlo al pubblico, affacciandosi a un palco. Il piglio smaccatamente grottesco della regia qui riesce a non entrare in conflitto con l’ironico libretto di Mario Soldati e la musica di Rota, costruita su ritmi scoppiettanti, che strizzano l’occhio al jazz, come pure a certi brevi lavori teatrali di Hindemith del primo novecento.
Peccato, invece, che la regia calchi eccessivamente il pedale della farsa nel caso di Wolf-Ferrari, ponendosi talvolta in contrasto con la musica, senza renderle giustizia. Scene e costumi – ben valorizzati dalle luci di Nevio Cavina – sono stati realizzati da Cristiana Attorrese e Bianca Piacentini, le due giovani vincitrici della prima edizione del concorso dedicato a Josef Svoboda (riservato a neodiplomati delle Accademie di Belle Arti di Macerata e Bologna): per l’opera di Rota sono due sedili di automobile appesi come altalene; per Wolf-Ferrari due interni molto colorati, d’ispirazione anni sessanta. Una cornice fin troppo nitida e asettica per una musica che vive di sfumature e allusioni sottili.
Giulia Vannoni