Andato in scena al Teatro Comunale di Ferrara Orlando furioso di Vivaldi nell’edizione critica di Federico Maria Sardelli
FERRARA, 7 aprile 2024 – Dell’immaginifico poema cavalleresco di Ariosto rimane appena qualche eco nel testo di Grazio Braccioli, eclettico giurista ferrarese che si era cimentato nell’ardua impresa di un adattamento operistico dell’Orlando furioso. Il meraviglioso ingranaggio descritto dai versi ariosteschi si trasforma così in una successione di intrighi, tradimenti, amori non corrisposti, incantesimi, falsi giuramenti, fatti rivivere attraverso l’ininterrotto avvicendamento di arie dall’organizzazione paratattica. Nel terzo atto poi, laddove si dovrebbero riannodare i fili di una trama piuttosto intricata, regna una certa confusione. Per fortuna ci pensa la bellissima musica di Vivaldi a rendere plausibile quello che manca al testo. Il compositore si confrontò più volte con questo libretto prima di arrivare, nel 1727, a una stesura definitiva per il Teatro Sant’Angelo di Venezia. Proprio in quest’ultima versione Orlando furioso è andato in scena a Ferrara, come terza tappa di una trilogia vivaldiana già avviata da qualche anno.
La regia di Marco Bellussi non ha intenti filologici. Manca qualsiasi allusione alle meraviglie del barocco: anzi, tutto è all’insegna della massima sobrietà (scenografia di Matteo Paoletti Franzato, video di Fabio Massimo Iaquone e spiritosi costumi di Elisa Cobello). Il regista rinuncia deliberatamente a rendere plausibile l’intreccio e punta a suggerire solo alcuni snodi drammatici fondamentali. Nel primo atto compaiono – e diventa quasi il biglietto da visita dello spettacolo – alcune vecchie macchine da cucire, a ideale memento della mutevolezza dei personaggi e dei loro abiti mentali. L’isola incantata della maga Alcina è delineata con ironia da pacchi infiocchettati; la montagna da cui Orlando riesce a liberarsi è fatta solo di quinte mobili virtuali; e la pazzia del Paladino viene resa legandolo con una camicia di forza, mentre le sue farneticazioni sono proiettate sotto forma di parole in libertà.
Il vantaggio di una cornice semplice e spoglia è dare il massimo risalto agli aspetti musicali: questi sì, all’insegna della filologia. Del resto i criteri con cui oggi si affronta il barocco sono profondamente cambiati rispetto al 1978, quando – in occasione del terzo centenario dalla nascita di Vivaldi – Orlando furioso venne recuperato in un’esecuzione rimasta celebre, con il ruolo protagonistico affidato alla grande Marilyn Horne. A Ferrara ha diretto Federico Maria Sardelli, curatore – insieme ad Alessandro Borin – anche dell’edizione critica. Alla guida dell’Orchestra Barocca Accademia dello Spirito Santo, formata da valenti strumentisti (per tutti citiamo l’ottimo Gregorio Carraro al traversiere), ha ben valorizzato ogni dettaglio musicale imprimendo notevole vivacità all’esecuzione, attraverso tempi sempre sostenuti: quasi tre ore di musica che scorrono senza cedimenti.
Cast tutto di specialisti, sottoposti a un vero tour de force dato il numero di arie che toccano a ciascun interprete. Potendo contare su una ragguardevole estensione, il controtenore ucraino Yuriy Mynenko ha interpretato con apprezzabile saldezza vocale un Orlando ostinato e, al contempo, tetragono nel suo innamoramento. Con un’emissione scorrevole e musicalità sempre appiombata il soprano Arianna Vendittelli ha disegnato un’Angelica, seduttiva e determinata, di notevole eleganza vocale. Il personaggio più sfaccettato resta quello di Alcina, affidato a una collaudata barocchista come Sonia Prina: fasciata in un luccicante abito di lamé e con una vistosa parrucca grigia, ha esibito la consueta duttilità interpretativa, facendo passare in secondo piano i limiti di una voce che talvolta si depaupera in timbro e colore. A suo agio soprattutto negli affondi contraltili di Medoro – lui sì innamorato corrisposto di Angelica – è stata Chiara Brunello. Il mezzosoprano Loriana Castellano (i rossi capelli sembrano una citazione dell’Orlando cinematografico di Sally Potter tratto dal romanzo di Virginia Woolf) era la volubile Bradamante, scenicamente incisiva nelle sue metamorfosi. Sempre convincente nella scrittura di Ruggiero, ancora un controtenore, Filippo Mineccia, che ha cantato con abbandono e morbidezza l’aria più nota dell’opera Sol da te, mio dolce amore. Unica voce grave del versante maschile l’espressivo Mauro Borgioni, interprete di Astolfo, che restituirà il senno a Orlando: ha messo in luce mezzi sostanziosi, forse spendibili anche al di là del repertorio barocco.
Uno spettacolo che va oltre il mero significato del recupero culturale e risulta appagante anche per un pubblico di melomani tradizionali.
Giulia Vannoni