Non lavate questo sangue: il cartello scritto in fretta e appeso da una ragazza su una finestra della scuola Diaz di Genova, sgomberata con la violenza durante il famigerato G8 del 2001. Non lavate questo sangue a memoria di quei fatti ora presentati dal regista Daniele Vicari nel film Diaz. Don’t clean up this blood, ricavato dall’impressionante mole di materiale (10.000 pagine di atti processuali) adattato dallo stesso regista assieme a Laura Paolucci. Praticamente la cruda ricostruzione di quella notte da incubo, la fine del “sogno civile” di centinaia di pacifici giovani presenti a Genova per manifestare pacificamente contro il summit dei capi di governo, l’irruzione cruenta e violenta della polizia che “servì” manganellate e calci senza complimenti a tutti coloro che erano presenti nella scuola scelta come base e dormitorio. E poi l’ancora più inquietante parte nella caserma Bolzaneto con i ragazzi trattati come bestie, senza tralasciare le questioni legate alle falsità messe in atto per accusare i ragazzi arrestati. Diaz è un film “che fa male”, che indigna, che fa scoppiare di rabbia. Certo il regista, nel suo racconto, ha la foga di voler presentare solo quei fatti e manca di “lettura critica”, ovvero sembra interessarsi ad una mera descrizione dei fatti, del resto già ampiamente documentati (anche grazie al materiale amatoriale ripreso da centinaia di videocamere a documentazione del fatto), per una storia corale dove si registra la scelta coraggiosa di lasciar parlare i giovani nelle loro lingue d’appartenenza (e quindi largo uso di sottotitoli). Anche diversi giovani hanno avuto la loro fetta di responsabilità (i facinorosi black block e la loro vocazione alla cieca violenza), ma Vicari qui si sofferma sugli innocenti pestati a sangue e umiliati senza ritegno.
Cinecittà di Paolo Pagliarani