Tra i tanti cambiamenti portati dalla modernità, uno di particolare importanza è certamente il fatto che oggi il rapporto tra le religioni si è fatto esperienza diretta e quotidiana in ogni parte del mondo.
La rapidità e la vastità con cui il fenomeno si è manifestato, la complessità degli elementi in campo (non solo e non sempre unicamente religiosi), rendono difficile affrontare in maniera seria e ponderata questa nuova situazione. La mancanza di un orizzonte progettuale positivo e propositivo e una rincorsa alla soluzione delle emergenze, hanno come conseguenza più incomprensioni che dialoghi; più pregiudizi e chiusure che non la capacità di ascoltarsi e capirsi; più tensioni e conflitti che convivenze e incontri.
Ciò vale soprattutto per il rapporto tra Cristianesimo e Islàm.
Quale futuro ci attende? Alcuni profetizzano solo sciagure, e di ogni tipo: invasione musulmana, islamizzazione politica e culturale dell’Europa, scontro di culture, nuove “guerre sante”, ecc. Altri, al contrario, guardano con sufficienza, quasi con distacco superiore, questi problemi confidando ciecamente nel progresso della ragione, della civiltà e quindi della tolleranza reciproca.
In realtà il futuro non è ancora scritto, non è ancora definito: esso dipende, in larga parte, anche dalla volontà, dalle scelte e dagli orientamenti che ciascuno intende assumere.
È possibile ipotizzare una convivenza dialogante e serena tra soggetti diversi, nella modernità? Don Pierpaolo Conti, parroco di Villa Verucchio (una delle parrocchie più popolose della Diocesi di Rimini) e docente di “Introduzione all’Islàm”, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose interdiocesano “Alberto Marvelli” di Rimini, ha scritto un libro che affronta proprio questa tematica.
Cantate al Signore un canto nuovo. Cristiani e musulmani in dialogo nella società moderna (edizioni ilPonte, pp. 304, 10 euro) è un tentativo, semplice ma diretto, di cercare una più precisa comprensione degli elementi in campo, per analizzare con maggiore chiarezza i diversi problemi e argomenti, e per esplorare vie nuove di incontro, di rispetto e di dialogo.
Lo è sin dalla copertina, in cui compaiono San Francesco e il Sultano in mentre parlano fraternamente, e un campanile e un minareto sullo stesso “livello”.
Già all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, Giovanni Paolo II chiese di condividere con “i fratelli musulmani” il digiuno di Ramadan. Quel segnale fu netto e determinante: né crociate né guerre di religione. Non muri, ma ponti. Non odiose generalizzazioni, non rigide contrapposizioni, ma dialogo e collaborazione. E ferma opposizione ad ogni violenza, soprattutto se pretestuosamente motivata “in nome di Dio“. Perché il contrario del dialogo non è il monologo: è il conflitto.
Questo volume non è “una presentazione sistematica dell’Islàm. – ha scritto mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, nella Presentazione al volume – Tantomeno si tratta di una disamina dei fatti di cronaca legati al rapporto tra il mondo islamico, la società moderna e la religione cristiana. Si tratta, piuttosto, di un contributo che, fondato sul magistero della Chiesa attuale (…), guarda al futuro in prospettiva dialogica. E si propone di aiutare ad aprire strade, a disegnare atteggiamenti e comportamenti nuovi, per superare distanze e dolorose incomprensioni, e per intraprendere reali e concreti percorsi di pace e di reciproco ascolto. Quindi, non l’analisi, ma il progetto: qui sta la novità, più originale, di questo contributo”.
Un contributo che mira a passi concreti, da muovere assieme, qui ed ora: in parrocchia, nelle sale dell’oratorio, a scuola, nel quartiere, in paese, con l’Amministrazione Comunale. Perfino in chiesa e nella preghiera. “Le buone pratiche, le ha chiamate l’Autore. Per don Conti il compito che è davanti a tutti non va sminuito, né va misconosciuta la realtà e la gravità delle tensioni e del conflitti attuali; ma è possibile, “e sarebbe davvero bello se tutti uscissimo dalla stagione delle lotte, delle incomprensioni e dei conflitti, per entrare nella stagione della gara, del canto e della festa”.
Ecco spiegato anche il motivo del titolo, che a prima vista sembra fuorviante rispetti al tema della trattazione. “Da quando ho iniziato a ragionare, a riflettere, a pregare e a meditare su questi argomenti, è risuonata in me, sempre di nuovo, sempre con maggiore insistenza, una sola frase, sintesi di tutto, luce che indica il cammino, promessa di speranza e di futuro migliore: «Cantate al Signore un canto nuovo!»”.