Èuna lingua, una lingua viva. A dispetto dal suo utilizzo quotidiano e dalla sua graduale contrazione, o forse – paradossalmente – proprio per questo? E del dialetto l’Emilia Romagna è una delle regioni italiane più importanti, almeno dal punto di vista della poesia e delle parole ed espressioni del dialetto capaci di illuminare aspetti della contemporaneità.
Il 17 gennaio cade la sesta Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali ad opera dell’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia). Questo “anniversario”, lo stato del dialetto in Romagna e, soprattutto, nel riminese merita più d’una riflessione. Chi possiede strumenti adeguati per condurla è indubbiamente Ennio Grassi. Riminese, assessore alla cultura del Comune di Rimini, scrittore, docente e sociologo della letteratura, è stato consulente del ministero degli Affari Esteri in numerosi progetti nel settore scolastico ed universitario. Vasta la sua frequentazione del mondo dialettale: dalla monografia intitolata al poeta dialettale Giustiniano Villa, a Immagini di parole (Maggioli, 1982) antologia della poesia italiana del secondo ’900 realizzata con Rosita Copioli. Dirige per l’editore Pazzini di Verucchio la collana di poesia dialettale “Parole nell’Ombra” e fa parte del coordinamento della Regione Emilia per la salvaguardia del dialetto.
Il 17 gennaio festeggiamo i dialetti e tutte le lingue parlate localmente, la cui pratica, nel corso degli ultimi cinquant’anni, è andata incontro ad una graduale contrazione, quasi ad anticipare una futura estinzione.
“Chiariamoci: il dialetto, oggi come ieri, non è né uno sfizio per intellettuali e neppure un fastidioso bagaglio popolano. Essere poeti in dialetto oggi comporta avere un background acculturato. Il dialetto non è folklore né pittoresco, anche se molti locali oggi portano nomi dialettali”.
E la poesia in dialetto? I tempi del famoso “E circal de giudeizi” (il “gruppo” santarcangiolese di cui facevano parte Tonino Guerra, Gianni Fucci, Lello Baldini, Nino Pedretti e altri artisti) ma Rimini intesa come provincia è ancora produttiva e anche a livelli importanti.
“Nel terzo volume dell’Atlante della Letteratura Italiana di Einaudi è contenuta una ricerca dalla quale si ricava quanti testi poetici sono prodotti nelle lingue locali nelle diverse regioni. L’Emilia Romagna fra il 1969 e il 2011 è in cima a questa speciale graduatoria. Senza entrare nel merito qualitativo, la Romagna dà l’apporto maggiore a questi numeri. Proprio la Romagna, terra in cui la modernità è approdata in forma estrema e alla quale ben si attaglia la definizione di «società liquida» di Baumann a Rimini, e tutta l’area senza soluzione di continuità che comprende San Mauro e Santarcangelo.
In questa terra esistono espressioni poetiche che non hanno nulla a che vedere con il pop spallicciano e con una certa tradizione significativa ma fin troppo localistica.
Cosa significa? La lingua italiana – come sosteneva Tullio De Mauro (nella foto al centro con Fabio Bruschi e Ennio Grassi a dx) – è percepita come lingua povera, incapace di contenere le ragioni di un sentimento e di un certo spaesamento”.
Una zona come quella riminese vanta una cinquantina di poeti in dialetto.
“Anche la semplice constatazione quantitativa vorrà pur significare qualcosa? E il pubblico di questa poesia è più partecipe di quanto non lo sia nei confronti della poesia in lingua. Qualcuno ha cercato – e in buona parte ci è riuscito – a fare in modo che il nostro dialetto venisse giudicato come sottoprofilo culturale, in termini provinciali e pittoreschi; in realtà mostra connotati che possono essere rappresentativi di una condizione locale e nazionale. Penso a Lello Baldini ma immediatamente anche a Gianni Fucci, Annalisa Teodorani e Miro Gori e Dauro Pazzini.
Non essendo dialettofilo, il pubblico si serve della traduzione italiana, ma è un lettore ricco e vivace quello che si accosta a questa poesia che non è poesia intimistica né della penombra.
È invece una poetica con parole, magari conosciute da pochi, che sono persino ricche di verità rispetto all’italiano.
La poesia in lingua anche laureata ha un pubblico più ridotto. Un grande poeta oggi non vende più di 1.000/2.000 copie. Diversa è la condizione editoriale della poesia dialettale, che certamente vende molto nel luogo d’origine. Ma i poeti riminesi sono i più noti tra i dialettali anche nel resto d’Italia. E le traduzioni italiane necessarie vengono affidate a poeti e traduttori capaci non di parafrasare ma di tradurre, rendendo più ricco il termine dialettale. Caratteristico è il caso del libro di poesia in lingua di Baldini, con traduzioni dei suoi versi dialettali realizzati proprio da lui.
La poesia dialettale – quand’è vera – è portatrice di senso, di una lettura della realtà e della confusione che vi regna, che la lingua parlata non ha. Non siamo davvero di fronte a poesia naif”.
Però è una lingua che non parla più nessuno.
“Anche il Latino non è più parlato ma lo si propone, con ragione e un certo successo. Certo non si introduce il dialetto andandolo ad insegnare: sarebbe una forzatura. In una società dove si tende al pluralismo della lingua, con citazioni inglesi e francesi, il dialetto costituisce una lingua di un luogo che non puoi nominare altrimenti.
Miro Gori mi raccontava che al bar di San Mauro si parla dialetto, anche i giovani. Forse è anche un gioco ma soprattutto la ricerca di una lingua della convivialità, quella convivialità che oggi si fatica a rintracciare.
La tendenza è certo quella di un dialetto abbandonato dalle giovani generazioni, ma finché esisteranno poeti non dialettofoni come la Teodorani che scelgono di esprimersi in quella lingua, significa che è una necessità”.