Alla Mole Vanvitelliana di Ancona inaugurata la stagione di teatro musicale da camera con Il maestro di cappella di Domenico Cimarosa
ANCONA, 1 settembre 2020 – Ambientare una Kammeroper in uno spazio gigantesco e all’aperto potrebbe apparire quasi una provocazione. L’idea stessa di “teatro musicale da camera” rimanda infatti a luoghi di piccole proporzioni e, ammesso pure che quelle grandi si riescano a modulare, è comunque impossibile riprodurre le caratteristiche acustiche di un luogo chiuso. Quest’anno, però, la necessità di distanziamento legata ai vincoli sanitari ha scompaginato le carte: per non cancellare una stagione lirica come quella che in autunno organizza la Fondazione Teatro delle Muse, meglio ripiegare sui luoghi all’aperto; tanto più che la città di Ancona può disporre di un sito, davvero suggestivo, come la Mole Vanvitelliana. Al centro della struttura pentagonale di questo antico lazzaretto affacciato sul mare (i lavori di costruzione cominciarono nel 1732) c’è un ampio cortile, capace di accogliere un palcoscenico e una vasta platea “distanziabile”. Pazienza se diventa necessaria una leggera amplificazione, che all’inizio disturba un po’, ma viene compensata dal poter godere la bellezza del luogo sotto le stelle.
Il cartellone – sono tre gli appuntamenti – è stato aperto da una piacevolissima serata che accostava Il maestro di cappella, celebre intermezzo buffo di Cimarosa databile intorno al 1790, ad altri brani d’inequivocabile significato comico: tutti affidati al talento di Alessandro Corbelli, vero e proprio mattatore in palcoscenico grazie a un solido gusto musicale, varietà di fraseggio e perfetto senso della misura in scena, che fanno dimenticare qualche stimbratura di una voce non più freschissima. Perfettamente calato nei panni archetipici del basso buffo, rivestito innumerevoli volte in occasione della sua lunga carriera, si è trovato a proprio agio sia nel disegnare il capostipite musicale del narcisismo che affligge chi sta in palcoscenico (nella cantata di Cimarosa) sia i più sfaccettati profili psicologici dei personaggi cui si riferiscono le altre arie proposte nel corso della serata.
Ha così impresso accenti d’irresistibile comicità al musico protagonista del Maestro di cappella – esilarante la parodia dell’aria seria, molto ben calibrata vocalmente – ed è riuscito a tratteggiare con rapide pennellate gli altri personaggi: un compito forse ancor più difficile. Il Don Bartolo che emerge dall’aria A un dottor della mia sorte è un caleidoscopio di atteggiamenti che oscillano dalla stizza alla tirannide, mentre Miei rampolli femminini (l’entrata di Don Magnifico nella Cenerentola) aveva le caratteristiche di un onirico, surreale delirio. Con perfetta consapevolezza, Corbelli ha poi cercato di far vedere come il registro comico fosse cambiato nel passaggio da Rossini a Donizetti: e nella cavatina di Dulcamara dall’Elisir d’amore si percepisce tutta la distanza del medico imbonitore dalle macchiette rossiniane. Sensazione, questa, poi potenziata da Ah! Un fuoco insolito di Don Pasquale, concesso come bis, dove si ha la netta percezione di essere di fronte a un punto di svolta della grammatica comica ottocentesca.
Il godibile programma, molto ben impaginato, prevedeva un’alternanza fra brani vocali e strumentali. Sul podio dei Solisti dell’Orchestra Filarmonica Italiana – solo una dozzina di elementi, ma assai incisivi – Stefano Rolli ha diretto con scioltezza e precisione. Le ridotte dimensioni orchestrali non facevano rimpiangere troppo l’organico originale, tranne forse nella Cenerentola, dove la sinfonia avrebbe richiesto ben altri volumi.
A rendere più suggestiva la serata, l’illuminazione di Lucio Diana: capace di sottolineare, con pochi tocchi di colore, il fascino della cornice di Vanvitelli.
Giulia Vannoni