Chi mi accusa di buonismo dovrebbe vedermi all’opera ogni giorno. Il gruppetto di nigeriani che chiede sistematicamente elemosine in centro mi conosce come “il giornalista” e mi evita accuratamente dopo che per decine di volte ho contestato il loro operato. Ora, almeno per una volta, per piacere, abbandoniamo gli abiti di cattivisti e buonisti e cerchiamo di iniziare ad analizzare il decreto Salvini nel modo il più possibile oggettivo, considerando, tra l’altro che dovrà passare al Quirinale per la firma del Capo dello Stato (profili di incostituzionalità di alcune norme?) e poi essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni ed è probabile – lo ha detto anche Salvini – che subisca modifiche e integrazioni. Il cambiamento che appare più rilevante riguarda l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consentiva di accogliere persone bisognose di tutela al di fuori delle ipotesi di protezione internazionale ordinarie (status di rifugiato). E questo non sembra cosa buona. Per mesi si è parlato di immigrati economici e i primi che vediamo esclusi sono invece quelli che scappano da persecuzioni politiche e razziali (“per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche”, ONU, Convenzione di Ginevra 1951).
Saranno concessi soltanto permessi temporanei relativi a sei fattispecie, tre delle quali già previste dalle norme in vigore (vittime di tratta, di violenza domestica, di sfruttamento lavorativo) e tre nuove (condizioni di salute gravi, provenienza da Paesi colpiti da calamità naturali e riconoscimento di atti di particolare valore civile). Viene poi ridimensionato lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che pure era considerato un’eccellenza italiana da esperti anche internazionali, esempio virtuoso di accoglienza per il suo carattere diffuso e il coinvolgimento delle comunità locali, come posso personalmente testimoniare avendo due comunità Sprar proprio nel territorio della mia parrocchia. Sarà ora riservato soltanto ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati. La sua destrutturazione espone il Paese a un aumento dell’irregolarità: il contrario di quel che vuol perseguire il Governo. Invece apparentemente contraddittorio con le dichiarazioni fatte il “prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio” da 6 a 18 mesi, con il rischio, considerate le fughe, di un grave aumento della clandestinità, altra cosa che il Governo, giustamente, non gradirebbe. Torneremo a parlarne.