BOLOGNA-Auschwitz, biglietto di sola andata. Dall’olimpo del calcio, all’inferno più truce di un campo di concentramento. Una tragedia che accomuna milioni di persone, con la particolarità che qui siamo di fronte a un campione dello sport. La storia è quella di un allenatore, Arpad Weisz, ripercorsa nel bel libro scritto dal direttore del Guerin Sportivo, Matteo Marani, “Dallo scudetto ad Auschwitz” (Aliberti, pp. 208, euro 14,00). Curiosa vicenda quella di Arpad: ebreo, ungherese d’origine, in Italia col cognome storpiato a causa dell’autarchia fascista (trasformato in Veisz). Un nome ricorrente negli almanacchi del calcio, finito però nel dimenticatoio generale. E pensare che siamo di fronte a un pezzo da novanta della storia calcistica: primo allenatore a vincere il campionato a girone unico, era alla guida dell’Inter (1929-30); primo col suo Bologna a rompere il dominio della Juventus di Carcano, dominatrice di quegli anni con 5 scudetti consecutivi (dal 1930 al 1935); trionfatore nel Trofeo dell’Esposizione, una specie di attuale Champions League, vinta battendo in finale il Chelsea per 4-1. E ancora, talent scout che lancia nella mischia un giovanissimo Meazza all’età di 17 anni. Per non dimenticare le sue innovazioni tattiche. Il Calcio Illustrato, a suo tempo, lo aveva definito “il mago”, personaggio dotato di “un’intelligenza purtroppo non comune nei nostri allenatori”. Insomma, un curriculum di tutto rispetto, farcito di tanti successi in carniere. Eppure tutto questo non è bastato a sfuggire dall’oblio e dalla persecuzione. La sua fine porta un anno ben preciso: 1938. L’Italia fascista decide di adottare le leggi razziali e anche il mondo dello sport si adegua. Il Coni diventa un’associazione con la finalità del “miglioramento fisico e morale della razza”, recita freddamente la legge. Clima pesante per un ebreo. E infatti alla guida del Bologna decide di dare le dimissioni dopo 5 giornate di campionato: è il 16 ottobre 1938. Il 10 gennaio di un anno dopo lascia l’Italia per approdare in Francia. Non dura a lungo, passa in Olanda dove allena il piccolo Dordrecht. Tira avanti fino al settembre del 1941 quando i nazisti vietano agli ebrei di frequentare gli stadi. Viene arrestato nell’agosto del 1942, per finire i suoi giorni ad Auschwitz, dove muore il 31 gennaio del 1944. Dimenticato da tutti. Per fortuna non da Marani.
Filippo Fabbri