LA STORIA. Donatella Marchese: da imprenditrice a carcerata e ritorno.“Grazie alla famiglia”
È una di quelle che ‘ha fatto la brava’. Oggi la sua è una voce ‘da dentro’ che spiazza. “ Ero un’imprenditrice e ora sono tornata a esserlo”. Nel mezzo, per Donatella Marchese, donna d’affari nel settore della telefonia mobile a Ravenna, Bologna e fino al Veneto, la drammatica esperienza del carcere che ha raccontato senza veli al convegno “Donne e carcere. Il lavoro come riscatto” al Museo della città di Rimini nell’ambito della mostra del fotoreporter ravennate Giampiero Corelli “Domani faccio la brava. Donne e madri nelle carceri italiane”.
Oggi è una imprenditrice, ma Donatella Marchese, 61 anni appena festeggiati, non ha dimenticato. Non è solo questione di numeri. Non può farlo. La ravennate Donatella, ‘suo malgrado’, ha vissuto l’esperienza del carcere con l’accusa di truffa. Quando è entrata nella casa circondariale di Forlì pesava 63 chili. Ne è uscita, 14 mesi dopo, con la bilancia che segnava inesorabilmente meno di 41.
“ E il brutto – racconta – è che non me ne sono accorta. Sì, perché dietro le sbarre non ci sono specchi”.
Donatella, è stata detenuta per 14 mesi prima nel carcere di Forlì e poi in quello di Bologna. Come ci è finita?
“Quando mi hanno arrestato non lo immaginavo nemmeno.
Avevo una famiglia, una serie di negozi. Mi vedevo molto lontana dalle persone che avevo attorno. Ma poi mi sono trovata a pensare a quanto avevo in comune con loro”.
Ci faccia un esempio.
“Sono finita tra le sbarre perché ero succube dell’uomo che amavo e che ha organizzato truffe con la mia società, ma a mia insaputa. Mi sono trovata coinvolta, lui è scappato, io sono rimasta e ho affrontato la situazione. Quella del mio compagno era una violenza non fisica, ma psicologica. E tante delle donne che ho incontrato in carcere avevano una storia simile: di violenza, alla quale hanno reagito. Non le giustifico, ma le capisco”.
Dall’inizio della vicenda al carcere sono trascorsi ben dodici anni.
“I reati commessi risalivano al 2003/2004. Non ho mai voluto patteggiare, perché mi ritenvo ingenua, magari, ma non colpevole: mi sono accorta troppo tardi di quel che stava accadendo. Denunce su denunce, l’unica possibile da arrestare ero io. Processo, appello, cassazione: nessuno mi ha creduto e nel settembre 2015 sono stata condannata. Non sono rientrata nel termine dell’affidamento pena alternative per appena 8 giorni (il termine massimo sono 4 anni) e sono finita in carcere.
Ci sono voluti quattro mesi solo per la prima udienza poi rinviata, e per tornare a casa sono state necessarie quattro udienze e quattordici mesi”.
Durante la detenzione lei ha perso 20 chili ed è stata costretta a vendere casa per pagare avvocati e spese processuali.
“Ho pensato di farla finita ( Donatella fa riferimento ai tanti suicidi avvenuti in questo scorcio di 2024, ndr) perché in carcere ti ritrovi catapultata in una realtà così, per un reato che pensi di non aver commesso. Rispetto a tante altre detenute, però, sono stata più fortunata”.
Cosa intende?
“Ho trascorso 14 mesi in cella: può essere poco, ma in carcere un giorno ne dura tre e le notti non finiscono mai. È un luogo di pena: sei considerato un numero, e le persone preposte ad aiutarti non ti aiutano. Ho trovato sostegno soprattutto da parte dei volontari”.
Come se ne esce? Come ci si riscatta da un’esperienza simile?
“La forza la devi trovare dentro di te, ma la mia famiglia non mi ha mai abbandonato un istante.
Devi avere qualcuno che ti aiuta, ma se non trovi quella forza, non si riesce a riemergere. Tante donne in carcere sono abbandonate a loro stesse”.
Spesso per un ex detenuto ricomiciare è difficile perché deve fare i conti con lo stigma del carcere e la diffidenza, anche nel mondo del lavoro.
“Ci sono tanti pregiudizi, molte persone non sono intenzionate ad avere a che fare con un ex detenuto e dall’altra parte tanti ex detenuti si vergognano della loro esperienza. Io non mi sono imbarazzata, anche perché ero convinta di non aver commesso il reato per cui sono finita dietro le sbarre. Ero serena e chi è stato al mio fianco lo ha sempre percepito. Ho sempre parlato apertamente della mia esperienza di detenzione e fuori dal carcere ho lotttato anche per tante persone conosciute dietro le sbarre”.
Ormai è la testimonal della mostra ‘Domani facciio la brava’.
“Ho incontrato Giampiero molti anni dopo l’uscita dal carcere. Mi sono imbattuta in una locandina della mostra, l’ho contattato, ci siamo amati a prima vista. Nelle sue foto inquadra il tenore di vita dentro la cella, i volti, luoghi, il bianco e nero penetrante”.