Negli anni passati Il Ponte ha proposto ai suoi lettori alcune immagini di presepi di scultori riminesi moderni (Elio Morri, Angela Micheli, Paola Ceccarelli). Quest’anno ne presenta un’altra, meno “figurativa” delle precedenti, che a prima vista forse potrà sembrare poco significativa, perché concede ben poco alla tradizione ed ha forme approssimative e in un certo senso rozze. Si tratta di un pannello in ceramica di due soli colori, con una prevalenza del bianco candido per le figure, appena abbozzate con una freschezza che ne rende difficile la decifrazione, ma che all’osservatore paziente risulteranno senz’altro vere e vivaci: ecco Maria che abbraccia il Figlioletto irrequieto, e Giuseppe che si china su di loro in atteggiamento di protezione e di meraviglia. Manca tutto il resto, è vero, cioè mancano gli accessori tradizionali costantemente associati alla scena del presepio: la stella, il bue, l’asino, la mangiatoia, i pastori e le pecore, gli angeli e persino la capanna; a quest’ultima allude appena il ripiegarsi in alto dello sfondo, che è di un colore tenerissimo e astratto, fra l’azzurro e il verde, cielo o forse terra, non sappiamo e non importa; quel che conta è l’apparizione del gruppo di figure, formato da un rilievo tumultuoso, irrequieto, allusivo più che descrittivo. I particolari non interessano: qui viene fornito solo quanto occorre per suggerire o percepire il soggetto; tocca a chi guarda dare un volto alle figure e animarle di sentimenti e di affetti, e – se crede – circondarle di sentimenti e di affetti.
L’opera è di un artista riminese ben noto che apertamente si dichiarava ateo e anarchico, Guido Baldini, ed è una delle sue ultime; la possiede un amico che gli aveva chiesto un suo lavoro senza fissarne il soggetto, ma “possibilmente un bel vaso da fiori per la tavola della sala da pranzo”: proposta banale, respinta con sdegno dall’artista scontroso, che dopo vari mesi gli offrì in dono questo rilievo dal soggetto veramente inaspettato. Era la fine del 1997. In quel periodo Baldini aveva ripreso a sperimentare forme e colori completamente astratti in piatti decorativi e in pannelli bellissimi che facevano seguito, e in un certo senso sembravano volerle sconfessare, alle molte vie crucis e alle ultime cene create precedentemente “su commissione”, quasi che i soggetti a tema, soprattutto se di argomento sacro, fossero superati e da dimenticare. Non era così, evidentemente, se per l’amico aveva scelto di modellare proprio una Natività: un tema che senza dubbio sapeva sarebbe stato gradito, ma che forse da tempo lo intrigava nell’intimo.
Comunque cercò di realizzarlo contestando la pittoresca nostalgia legata in modo indissolubile al natale e al presepio tradizionali, e ribellandosi – come era suo costume – ad ogni dolcezza di maniera.
Una ribellione inutile: è vero che in quel groviglio di rilievi appena abbozzato che finge panni e figure del gruppo divino sembra raggrumarsi una umanità piena di incertezze e di fatiche (che poi sono le nostre incertezze e le nostre fatiche), ma queste finiscono per comporsi in un insieme ispirato a sentimenti di dolcezza e di speranza e stemperarsi, sciogliersi e pacificarsi nel tenero e variato colore del fondo. Complice senza dubbio il soggetto, che non sopporta interpretazioni diverse da quelle fornite dalla tradizione cristiana, e complice la ceramica, con i suoi smalti che coprono una materia ora ruvida e ora levigata, ora piegata e ora strappata, e la animano di riflessi e di chiaroscuri che l’artista ha saputo controllare con la sua sapienza e la sua intuizione, col suo mestiere che non vuole esitazioni e tradimenti.
Ne è venuta fuori una natività ”moderna” in cui i problemi dell’uomo d’oggi si incontrano con un fatto antico e sempre attuale, un fatto ancora pieno di tenerezza per l’umanità intera e che contiene l’invito ad un vero incontro con l’Assoluto: speranza e nostalgia celate, ma pur sempre presenti, nella coscienza di tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le ideologie.
Buon Natale!
Pier Giorgio Pasini