Fui ordinato sacerdote a Bologna nel 1960. All’ordinazione seguiva la cosiddetta ”Ascolta” del Padre Provinciale. Questi aderì al mio desiderio di essere mandato missionario in Giappone. Inoltre mi concesse di frequentare il corso di Missiologia presso l’Urbaniana a Roma e per aprirmi un po’ più al mondo mi permise di usare i tre mesi estivi per una full immersion in Inghilterra. Non frequentai alcun istituto scolastico ma sostituivo i frati del luogo che andavano in vacanza. Potei così fare esperienza dei vari accenti di quella lingua secondo le regioni. Ero ancora ventenne ed i ricordi di quei primi incontri sono vivi dentro di me. Ricordo le persone di Manchester che facevano a gara per insegnarmi l’inglese, portandomi anche a Liverpool ad ascoltare in un pub i Beatles, che a quel tempo erano già famosi.
Giunsi in Giappone nel 1963, completamente digiuno della lingua locale. Mi buttai a capofitto nel corso biennale nel nostro convento di San Giuseppe a Roppongi, senza concedermi passatempi neppure durante le Olimpiadi. Eravamo 52 studenti tra sacerdoti e suore di 18 nazionalità. La tragedia della vicina Cina, la quale aveva espulso tutti i missionari esteri, stava contribuendo a realizzare il boom del Giappone. A 30 anni fui inviato nella chiesa di Naoestu sul mare del Giappone. La chiesa era un edificio in legno, già sede del partito comunista, a due piani: al primo piano si trovava l’asilo nido e al secondo piano si trovava una cappellina e la residenza del sacerdote. Quando spiravano i forti venti dalla Siberia l’edificio si scuoteva paurosamente. Tant’è vero che la prima notte non riuscì a dormire temendo si trattasse di un terremoto… ma era solo ordinaria amministrazione. Dietro a quella residenza scorreva il fiume Sekigawa. In lontananza si vedevano due grandi edifici nerastri. Chiesi ai miei vicini di cosa si trattasse e mi fu risposto che servivano come depositi dl carbone fossile.
I missionari che, per qualche motivo, tornavano in Italia si trattenevano a lungo nel Belpaese, quindi io ero spesso solo e, con la mia Mazda 360cc, mi spostavo in lungo e in largo servendo varie comunità cristiane. A 37 anni fui eletto Superiore della missione e mi trasferii nel convento di Nagtbka, dove tutti i confratelli si riunivano due volte al mese, pernottando tra lunedì ed il martedì, una bella esperienza dl vita fraterna, preghiera e studio, indispensabili a noi frati. Il mio servizio, in questo bellissimo luogo, andò avanti per 12 anni, quando fui inviato parroco della chiesa di Takada, la più antica della missione, accanto a quella di Naoetsu. Fu allora che da alcuni insegnanti del luogo venni a sapere che quegli strani edifici neri vicini al mare, poi abbattuti, non erano solo dei depositi di carbone fossile ma servirono da baracche, dove per 4 anni furono ammassati prigionieri di guerra americani ed australiani. Nei primi mesi della guerra, l’esercito giapponese a Singapore e nelle Filippine si rese protagonista di vittorie strepitose e ben 260.000 militari alleati furono fatti prigionieri. Di questi 32.500 furono inviati nei novantuno campi di concentramento del Giappone. Il più piccolo fu indubbiamente quello di Naoetsu con 1100 persone imprigionate, 300 delle quali erano australiani. Ma, nonostante la sua dimensione era il più duro a causa del clima e delle condizioni di lavoro. Qui morirono denutriti, affaticati dai pesanti lavori, provati dai freddi siberiani anche 60 giovani soldati australiani. Qui avvenne anche l’umiliazione e la flagellazione dell’italo-americano Luis Zarnperini, per mano di un tenente giapponese che aveva frequentato la facoltà di francese nella famosa università dì Waseda. I compagni prigionieri vennero obbligati a portare i cadaveri dei 60 giovani su slitte, sino al crematorio e le ceneri poste in vasi di maiolica conservati in una pagoda buddista non lontano dal mare.
Zamperini, atleta americano delle olimpiadi di Berlino, finita la guerra, per molti anni fu colto da diversi momenti di depressione e a lungo desiderò di strozzare con le proprie mani chi gli aveva fatto tutto quel male. Ma un giorno udì le parole soavi di Gesù: ”Perdona il tuo nemico e prega per lui”. Nel frattempo la persona che gli fece tutto quel male passò il tempo a nascondersi e riuscì a sfuggire anche al giudizio del Tribunale di guerra di Tokyo. Si sposò, ebbe figli e divenne presidente di una rispettabile ditta di Tokyo. Zamperini venne due volte in Giappone per
incontrare il suo aguzzino, fare i conti con il passato e concedere il perdono. La seconda volta era addirittura accompagnato da una troupe televisiva. L’incontro sembrava assicurato, ma anche questa volta I’ uomo non comparve. Tuttavia la fantastica storia dl Zamperini venne fatta rivivere in “Unbroken”, prima in un libro che divenne un bestseller e poi in un film.
Io m’incontrai con Zamperini, ci stringemmo la mano nel gennaio del 1998, quando a 80 anni, calzoncini corti, fu invitato a portare la torcia olimpica delle olimpiadi invernali di Nagano. In quell’occasione passò davanti alla chiesa dl Takada, tra gli applausi della gente di Joestu, sotto un fragile nevischio. Oggi la città di Joestu è gemellata con la cittadina di Cowra in Australia conosciuta per la presenza di tre campi di concentramento: tedesco, giapponese e italiano.
Un episodio
Nel campo giapponese in una notte d’estate del 1944, i 1100 prigionieri armati di forchette e altre posate trucidarono le quattro guardie di veglia, per fuggire con la chiara intenzione di finire con onore la propria vita. I morti raccolti dopo la sparatoria furono 249. I prigionieri del vicino campo italiano furono pregati di aiutare e scavare le tombe. Tra di loro c’era Vittorio Ravaglia, padre del responsabile del nostro centro missionario di Bologna, padre Guido Ravaglia, che io condussi a visitare la zona. Nel 1988 gli ex prigionieri di guerra australiani e i loro familiari furono i primi a venire a Noetsu per pregare sul luogo in cui venivano ricordati i defunti.
Il comune di Joetsu e la gente del luogo furono presi di sorpresa e molti seppero per la prima volta dell’esistenza del campo. Mi prestai volentieri a ripulire la sterpaglia e preparare l’altare provvisorio per offrire preghiere insieme a monaci buddisti, rappresentanti dell’Ambasciata Australiana e rappresentanti del Comune. Gli ex prigionieri australiani lasciarono una targa-ricordo in bronzo da usarsi in futuro qualora fosse costruito un monumento. In quell’occasione si venne a sapere che, subito dopo la guerra, accanto al cimitero giapponese di Cowra, in Australia, era stato costruito un bellissimo parco stile giapponese con alberi Sakura e un museo di ricordi. Finalmente a Joetsu insegnanti del luogo, convinti del significato educativo di un monumento ricordo, chiesero alla popolazione di contribuire con offerto volontarie. Fu creato un comitato di consiglieri esperti del quale feci parte anch’io, unico straniero. Dopo lungo travaglio fu possibile acquistare un buon pezzo di terreno proprio alla confluenza di 2 fiumi di fronte al mare. L’esecuzione del progetto del monumento fu affidato ad un famoso scultore locale, Olcamoto Tetsuji. Naoetsu è l’unico dei 91 campi di concentramento di guerra in Giappone trasformato in parco per la pace.
Padre Mario Canducci