La notizia è sparita dalla ribalta delle cronache locali, soppiantata dalle inchieste aeroportuali, ancor prima di essere meglio definita nei particolari. Ma la vicenda della reazione allergica di un bimbo riminese a un costume di carnevale di produzione cinese, che pare sia stato però acquistato in un negozio italiano, ha scatenato reazioni anche sui social. E il tenore di molti commenti era: “io la roba dai cinesi mica la compro”. Comprare “dai cinesi” è ormai nell’uso comune, spesso con accezione negativa, come sinonimo di acquisto dove quel che conta è solo il basso costo a discapito della garanzia di qualità. E in questo caso per spendere poco non c’era mica bisogno di compare i costumi dai cinesi: se ne potevano trovare di economici in molti italici supermercati. Ovviamente made in China, ma senza l’imbarazzo di dover dire di averli comprati “dai cinesi”. Come se la stessa cosa da una parte fosse roba dell’altro mondo, dall’altra un acquisto assolutamente normale. Anzi, nei supermercati italiani avevano costi ancora più bassi. Lo dico perché per curiosità ho guardato quanto costavano in un negozio cinese. Dove, lo ammetto tranquillamente, poi mi sono comprato un paio di robette che mi servivano, questione di pochi euro. E dove il commesso distratto si è dimenticato di farmi lo scontrino. Altro che negozi di un altro mondo, mi sembrava proprio il nostro.