Tre Giorni Diocesana. A confronto su tanti temi di urgente necessità per la vita della comunità cristiana: comunione, partecipazione responsabile e missione
Il titolo è apparentemente generico, “ Sacerdozio ministeriale e battesimale”, ma non lo è davvero. È il tema cui è dedicata la Tre Giorni del clero che si è svolta da lunedì 5 a mercoledì 7 giugno presso il Seminario vescovile “Don Oreste Benzi”. Il sottotitolo degli incontri delinea con più chiarezza i temi affrontati: comunione, partecipazione responsabile e missione.
Obiettivo: cercare di leggere i segni dei tempi, di capire cosa vuol dire lo Spirito Santo alla Chiesa italiana e occidentale in genere, anche attraverso la grave crisi di vocazioni sacerdotali che la attraversa.
Ancora più nello specifico entrano i titoli delle tre relazioni base: lunedì 5 il vicario don Maurizio Fabbri è intervenuto su “ I punti e le attenzioni decisive per una efficace azione missionaria nella zona pastorale”; martedì 6 don Gabriele Gozzi su: “ Dalla Evangelii Gaudium ai nostri giorni. La comunità cristiana e la missione. La collaborazione pastorale preti-diaconi-laici”; infine mercoledì 7 don Daniele Giunchi su “ Catechesi della Iniziazione Cristina nella nostra Diocesi”. Importante il momento comunitario con diaconi e consiglio pastorale nel pomeriggio e nella serata di martedì 6 sui temi più urgenti e importanti della pastorale diocesana.
Al momento di andare in stampa con questo numero è possibile solo riferire del primo appuntamento che cerchiamo brevemente di sintetizzare in questa intervista a don Maurizio Fabbri.
Don Maurizio, perché riparlare di Zone Pastorali? Non ne abbiamo già parlato? È l’obiezione sollevata da molti preti… “In realtà molti presbiteri desiderano che si riapra il discorso. Ci rendiamo conto che la diminuzione dei sacerdoti e la necessità di non abbandonare a se stesse le comunità richiede di fare scelte nuove e coraggiose.
La vita del prete è messa ‘sotto sforzo’, in un carico pastorale sempre più grave e nella fatica di trovare i giusti equilibri psicologici, relazionali, spirituali e pastorali.
Intanto le comunità parrocchiali, anche le più numerose, sono sempre più povere di presenza, di risorse umane e pastorali. Si sente sempre più il peso dell’amministrazione e gestione di strutture che – da iniziale risorsa – diventano un peso e un costo economico non più sopportabile. Ed è sempre più necessario come comunità cristiana porsi in una nuova ottica, che non può essere quella ‘ pretocentrica’ e di conservazione dell’esistente ma quella di una ministerialità allargata finalizzata al primo annuncio del Vangelo. Sono temi che riguardano non solo i preti ma l’intera comunità”.
Nel 2012, quando si definiscono le Zone Pastorali, si parla di “Pastorale integrata”. Cosa si intende?
“Ci si proponeva di valorizzare tutte le risorse ministeriali ed ecclesiali presenti nelle singole comunità, in una logica non di accorpamento, ma di integrazione che valorizzasse e promuovesse la vita ecclesiale delle singole comunità ecclesiali, affinché diventassero focolari di evangelizzazione presenti capillarmente sul territorio.
Ciò implicava una conversione personale ed ecclesiale che deve coinvolgere tutti, che consiste nel guardare oltre il proprio recinto e la propria esperienza di impegno ecclesiale, superando i campanilismi e acquisendo un senso di corresponsabilità globale verso tutta la chiesa diocesana, accanto e insieme al Vescovo”.
Si fece una distinzione tra Zone Pastorali e Unità Pastorali. Ce la puoi spiegare?
“ Le Zone Pastorali sono realtà composte da più parrocchie vicine e piuttosto omogenee che mantengono la propria autonomia ma elaborano modalità di collaborazione.
Le Unità Pastorali, sono formate da una o più parrocchie, che pian piano chiamerei comunità, che condividono lo stesso progetto pastorale. La prospettiva è di arrivare, pur con tempi e modalità diverse, alle Unità pastorali. È chiaro che si tratta di un processo graduale e lungo da verificare in corso d’opera”.
Cosa è avvenuto dal 2012 ad oggi?
“Dalle 27 Zone Pastorali iniziali oggi si è giunti a 21. Di queste, 11 sono Unità Pastorali affidate a uno o più parroci o a 2/3 parroci in solido (San Giovanni in Marignano, Trafigurazione, Coriano, Savignano, Morciano, Flaminia, Bellaria, San Giuliano/Celle, Misano, AlbaMater, Sant’Arcangelo/San Vito).
Ci fu una iniziale spinta propulsiva (fino al 2018 circa) sull’onda della novità e della idealità, che ha portato la maggioranza delle zone pastorali a investire in momenti comunitari tra preti e in attività condivise tra le comunità parrocchiali della stessa Zona, pur nella varietà di situazioni locali. In tanti, preti, diaconi e laici, si sono spesi… Poi, complice anche il covid, si è assistito ad un calo di entusiasmo e di fiducia nei preti, una certa delusione nei laici e ad una introversione pastorale preoccupata più di garantire gli ordinari servizi liturgici e catechistici che di osare strade nuove…”.
Cosa è mancato?
“Le risposte possono essere tante.
Qui ne cito solo alcune. Per esempio ci si è accorti che ritrovarsi e pensare insieme, come pure vivere insieme tra preti è faticoso, richiede tempo e tanta pazienza nell’accoglienza reciproca con le proprie diversità caratteriali e di visione, e che il continuare richiede una motivazione spirituale e pastorale più profonda. Ci si è accorti della fatica di coinvolgere i nostri laici, già oberati da tanti impegni, in momenti ulteriori di formazione e di organizzazione. Talvolta,
dell’accontentarsi che portino avanti dei servizi piuttosto che crescano nella coscienza del proprio battesimo e diventino più corresponsabili. Ci si è accorti che il camminare insieme richiede una visione comune e non solo qualche attività che lasciano il tempo che trovano, rischiando di appesantire un calendario già fitto”.
Nella tua relazione indichi anche radici più profonde… “Certo c’è forte la necessità di cambiare testa, ossia una conversione del modo di pensarsi come preti…
Si fatica a ricomprendere la figura e il ruolo del presbitero in una realtà più complessa, che richiede un nuova modalità di presenza, di relazione coi laici, di paternità. Ma questo è frutto di un serio percorso spirituale personale e di confronto come presbiterio, che faccia i conti con l’umanità, la fragilità e i desideri legittimi dei preti.
In alcuni casi poi abbiamo confuso la pastorale integrata con il semplice accorpamento e accentramento di ogni attività pastorale nella parrocchia più grande, lasciando in quelle più piccole la sensazione di contare poco o sentirsi addirittura abbandonate.
Ma specialmente, spesso abbiamo ridotto la Zona Pastorale ad una migliore organizzazione e distribuzione dei servizi liturgici piuttosto che una opportunità per formare laici e comunità più missionarie, capaci di interagire con il territorio e le nuove domande di fede.
Ci sono poi mancati luoghi per una riflessione seria, tra preti, diaconi e laici, sulle priorità pastorali, su quali germogli far crescere e su cosa abbandonare perché ormai inadeguato e aprendo nuovi percorsi”.
Tu affermi che nel contesto del cammino sinodale in funzione di un rinnovamento missionario tanto auspicato da Papa Francesco, la scelta delle Zone Pastorali, possa offrire delle chance.
In che senso?
“Anzitutto per la vita dei preti: prendersi cura della loro qualità di vita, coltivando amicizie, momenti di condivisione spirituale e di fraternità gratuita, in una pluralità di forme concrete, nel rispetto della sensibilità di ciascuno. E stimolarci a crescere come famiglia presbiterale, dove si creano collaborazioni pastorali tra noi e ci si senta corresponsabili insieme al Vescovo della evangelizzazione della diocesi, valorizzando adeguatamente anche i diaconi.
Pur con tante resistenze, questo cammino è iniziato e va incoraggiato. L’assottigliarsi del numero dei sacerdoti, da elemento di crisi può diventare occasione di maggiore corresponsabilità”.
Poi c’è il ruolo dei laici…
“Certo, occorre promuovere cammini formativi per i laici a livello di zone pastorali e diocesano, perché diventino una presenza missionaria nel proprio ambiente di vita.
Inoltre, alcuni possano assumersi in prima persona la cura dei vari ambiti pastorali. In questo contesto, bisogna far maturare i ministeri laicali già presenti o da promuovere (servizio alla Parola di Dio, la cura della liturgia nelle varie forme, la guida di piccole comunità, la prossimità alle situazioni di disagio e sofferenza,…).
Occorre poi una maggiore incisività nel farci presenti in alcuni ambiti prioritari: la realtà giovanile, la cura delle giovani coppie, la riflessione culturale su temi di impatto mediatico, la presenza sulla Rete e gli strumenti di comunicazione, le nuove povertà, elaborando insieme progettualità. Senza dimenticare la relazione con il territorio per una collaborazione con le agenzie sociali (scuole, sanità, volontariato, …) per una risposta più incisiva ai bisogni umani, relazionali ed economici delle persone”.
Tutto questo non lo si potrà decidere in una Tre Giorni… “È vero, questo potrà avvenire se sapremo camminare insieme, noi preti insieme ai diaconi, alle aggregazioni laicali, ai consacrati, agli operatori pastorali, ai comuni fedeli. Le Zone Pastorali avranno un futuro, porteranno ad un reale cambiamento della nostra Chiesa solo se saranno assunte consapevolmente anche dalla nostra gente e da tutte le realtà ecclesiali”.
Don Maurizio ha concluso la sua relazione ai sacerdoti con alcune domande che riguardano tutti: – Come ripensare la presenza ecclesiale su un territorio sempre più frammentato in piccoli paesini, spesso isolati e “campanilistici”?
– Cosa ci si attende dal prete e cosa è il suo “proprium” a cui dare priorità?
– Quali figure di ministerialità laicali sono da creare e potenziare per un nuovo annuncio del Vangelo?
– Cosa farsene di tante strutture pastorali non più adeguate e/o necessarie alla vita pastorale?
– Che tipo di formazione spirituale e pastorale offriamo alla nostra gente e ai nostri collaboratori?
Dopo questa relazione è iniziato il confronto della Tre Giorni.