Al Teatro Sociale di Trento il pubblico apprezza l’opera del giovane compositore Roberto Vetrano dedicata al fisico Ettore Majorana
TRENTO, 20 gennaio 2018 – Il soggetto, dalle implicazioni quasi pirandelliane, è adattissimo al teatro. La scomparsa del trentunenne Ettore Majorana, avvenuta misteriosamente nel marzo 1938 durante una traversata in nave da Palermo a Napoli (suicidio, sparizione volontaria o addirittura omicidio?), ha sempre alimentato una miriade di ipotesi. Nel 1975 Leonardo Sciascia, in un celebre saggio, sposò l’idea di un suo ritiro in convento; nel 2008 la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? diede credito a una sua presenza in Sudamerica negli anni cinquanta; ma, da scorrere, l’elenco delle possibilità è ben più lungo.
Di salute incerta e carattere scontroso, il più talentato fra i “ragazzi di via Panisperna” – gruppo di fisici, dediti allo studio del nucleo atomico, che all’Università di Roma ruotava intorno a Enrico Fermi – forse non avrebbe gradito tanto interessamento. Però l’opera del giovane compositore pugliese Roberto Vetrano (su libretto scritto da Stefano Simone Pintor) intitolata Ettore Majorana, e vincitrice del Concorso Internazionale Opera Oggi 2015, gli sarebbe probabilmente piaciuta, perché l’autore non cerca di proporre una soluzione all’enigma della sua indecifrabile uscita di scena, ma la presenta solo come una fra le tante possibilità. Sull’onda della meccanica quantistica (di cui il fisico teorico fu uno degli adepti fin dalla primissima ora), si affida così all’idea che siano possibili vari stati, anche opposti, in grado di mantenere una relazione fra loro: situazioni che in palcoscenico – Pirandello docet – possono coesistere con una certa verosimiglianza.
Per la stagione Opera 20.21, organizzata dall’Orchestra Haydn, a Trento è andato in scena Ettore Majorana: ultima tappa di un percorso attraverso alcune città del nord Italia (è una coproduzione con i Teatri di OperaLombardia, Magdeburgo e Valencia) iniziato in settembre a Como. La costruzione dello spettacolo appare ciclica: nelle prima parte si replica per ben cinque volte – con andamento sempre più ossessivo – il fatale viaggio in nave, destinato a sfociare in una sparizione; nella seconda, dove c’è invece maggiore varietà (la supplica materna a Mussolini, i monaci in convento che salmodiano formule matematiche, il notiziario radiofonico, una ninna nanna cantata dalla madre), l’orologio viene riportato al momento della nascita dello scienziato, nel 1906.
Grande cura è riservata all’aspetto visivo: regista è lo stesso Pintor che si avvale della scena sobria e funzionale di Gregorio Zurla, autore anche dei costumi anni trenta, e delle luci di Fiammetta Baldiserri. Fondamentale il contributo di video design realizzato dallo Studio Antimateria, che permette non solo di ottenere l’effetto del mare, ma trasforma il Teatro Sociale in una sorta di gigantesco planetario. In questa cornice i tanti avatar di Majorana, con una piccola maschera sul volto, incarnano le possibili trasformazioni del protagonista, come una caleidoscopica moltiplicazione, senza la pretesa di raffigurare qualcosa di definitivo.
Sul piano musicale la scrittura di Vetrano tende a creare una base sonora che possa valorizzare la parola, in modo da imprimerle una certa potenza drammatica, evidente soprattutto negli interventi del coro (OperaLombardia diretto da Diego Maccagnola), cui spettano forse le pagine più suggestive. Sul podio Jacopo Rivani ha diretto con rigore, precisione e minuziosa cura della gamma dinamica l’Orchestra Haydn, che lo ha corrisposto in modo impeccabile. Lungo l’elenco degli interpreti, tutti efficaci cantanti-attori, catalogati come particelle subatomiche: a parte il protagonista, il baritono Moreira Cardoso, espressivo nel rendere lo spaesamento di Majorana, c’è l’insieme α delle “interazioni deboli”, ossia il clochard e la cantante (il mezzosoprano Alessandra Masini e la voce recitante Roberto Capaldo); quello β delle “interazioni forti”, Dio e la Fisica (il basso Pietro Toscano e il soprano Tiberia Monica Naghi); e infine il gruppo γ delle “interazioni oscure”, l’Antimajorana e la Particella ombra (il tenore Ugo Tarquini e l’attore Davide Paciolla).
Molto buona l’accoglienza del pubblico: nessuno si è spaventato se nel libretto si menziona il teorema di Fermat e la sua problematica dimostrazione, se viene citato il calcolo integrale o si usano vocaboli come “hermitiano” (il libretto termina con una versione semplificata dell’equazione di Majorana). Del resto, gli autori si sono addentrati con grande coraggio in un terreno difficile: a loro va poi riconosciuto il merito di aver offerto una metafora – nel suo insieme comprensibile – degli aspetti misteriosi, e ancora da decifrare, che circondano la fisica quantistica. Benché le recenti ricerche spostino continuamente l’orizzonte più in là.
Giulia Vannoni