Ciao don Jozef, sei morto qualche giorno fa. Sono sicuro che mi stai ascoltando, anzi leggendo. Sul tuo letto, appeso alla maniglia del sollevatore, sino alla fine, c’era il rosario con l’immagine della Madonna di Saiano, alla quale eri molto legato. L’hai dimostrato in tanti modi. C’era lei Maria, ad osservarti e a farti compagnia, sino all’ultimo momento: sì, Lei c’era. Mi piace immaginarti negli ultimi giorni avvolto dal suo sguardo, che ti rivestiva di onore, rispetto, affetto materno. Lei non ha avuto nessun problema a camminare con te, come madre e compagna di viaggio. Non ha sentito il bisogno di prendere le distanze, dai tuoi modi e dalle tue fragilità.
Noi abbiamo fatto più fatica perché non siamo come Lei. Proprio da qui voglio partire per parlare di te.
Una serie di contingenze, non volute, forse insuperabili, ha fatto sì che l’ultimo saluto a te fosse segnato da una certa tristezza. Ovvio, una morte è sempre triste dirai. Intendo anche altro. Per una serie di contingenze non volute, forse insuperabili, non è stato possibile venirti a salutare e vedere il tuo volto in obitorio, non è stato possibile stabilire un giorno per celebrare insieme la veglia funebre, non ho visto pregati, ricordini, da ultimo, la tua salma, anche se per motivi tecnici, non c’era alla messa di suffragio.
Più ci penso e più gioisco di questo riscatto! Bravo don Jozef. Grazie! Si grazie! Adesso stai proprio lavorando al 100% per la nostra diocesi. Del resto era inevitabile: il Signore non dimentica i nostri sì, e non permette che vengano seppelliti sotto la cenere, soprattutto (mi piace pensarlo), il Sì che trasforma un uomo in pastore.
I poveri ci evangelizzano. Come? Con due operazioni semplicissime. La prima: portando sulle spalle il peccato del mondo, rivelano a noi stessi il nostro peccato. La seconda: volenti o nolenti, vengono afferrati dal Signore per rivelare la signoria di un Dio che “rovescia i potenti e innalza i miseri”.
Don Jozef, come tutti noi eri un povero uomo, un povero prete, un povero Cristo. Le spigolosità del tuo carattere, alcune tue fragilità, è come se si fossero condensate al momento della tua morte e del tuo funerale, ed era lì che il Signore ci aspettava e ti aspettava, per farti dire a nome suo una parola di guarigione e di conversione alla nostra chiesa e al nostro presbiterio.
Quanto sarebbe bello se diventassi tu l’icona, il “logo” della nostra futura assemblea diocesana. Un logo che ci dice alcune cose: che tutti siamo degli ammalati gravi che hanno bisogno di essere soccorsi. Abbiamo bisogno che le pietre scartate della storia vengano a scomodarci, a tirarci fuori dalle nostre abitudini protette. Abbiamo bisogno di croci che ci facciano piangere, di sofferenze che tocchino il cuore, per ritrovare la capacità di commuoverci di fronte al dolore dell’altro. Abbiamo bisogno di inciampare e sbattere il naso per terra, per sentire che valiamo tanto quanta è la misericordia di Dio verso di noi e niente più. Abbiamo bisogno di sbattere per terra per diventare meno selettivi e giudicanti. Abbiamo bisogno di ritrovare la divina passione, il divino eros, per la vita e gli uomini.
Nell’ultimo atto del tuo ministero ci hai fatto il dono più importante: ci hai indicato le griglie per la chiesa di domani, un bell’ordine del giorno anche per la nostra assemblea diocesana.
Ci hai detto almeno due cose:
– Restituiamo alla chiesa due mani e una bocca: perché l’agire sia sempre il doppio del parlare e non il contrario.
– Ritroviamo il gusto di impastare le mani nelle realtà scomode per farle lievitare con il fermento della carità. E del resto, se non impariamo a farlo, la vita e i poveri Cristi ci metteranno sempre sugli occhi il fango della nostra ambiguità, per guarirci.
Domenica 7 maggio alle 10 nella Chiesa di Torriana, festa della Compagnia del Crocifisso, di cui don Jozef fu grande sostenitore, celebreremo la messa in suo suffragio. Sarebbe bello che fossimo in tanti…
don Osvaldo Caldari