C’è aria di rinascita. Tutta l’Italia (al momento di andare in stampa) è in zona bianca, l’ottimismo dilaga.
Ma sarebbe da incoscienti cantare già vittoria, dimenticarci di ciò che abbiamo passato, soprattutto guardando allo scorso anno, con l’estate che ci ha concesso una tregua e l’autunno che ci ha colpito duro, trovandoci impreparati e disarmati. Certo, il 2021 può contare sull’esperienza passata, di cui fare tesoro, e su un’arma fondamentale in più: i vaccini.
Ora siamo di fronte a un bivio: lasciarci andare all’euforia, abbassando la guardia e arrivando in autunno con la speranza che il sistema regga, oppure fare l’ultimo sforzo, per concludere il percorso e arrivare ai mesi autunnali pronti a rinascere davvero. È questo, dunque, il momento per fare il punto sulla situazione della pandemia: dove siamo, dove stiamo andando, cosa fare e cosa non fare. Cosa aspettarci dal futuro.
Un’analisi a tutto tondo, realizzata assieme al dottor Corrado Paolizzi, medico di base di Rimini.
Dottor Paolizzi, guardiamo al presente. Come procedono le vaccinazioni?
“Per quella che è la mia esperienza personale, le vaccinazioni sono a un ottimo punto. Anche guardando Rimini, stiamo procedendo molto bene. A livello generale qualche intoppo, però, lo abbiamo visto proprio nelle ultime settimane, a causa dei fatti di cronaca che, purtroppo, hanno riguardato la scomparsa di una giovane ragazza ligure che si era vaccinata da poco: la diffusione di questa notizia su tutti i mezzi di comunicazione, prima ancora che ci fossero risposte definitive dalla sua autopsia, ha portato a un diffuso disorientamento nella popolazione, rallentando le vaccinazioni. Si tratta di una reazione naturale e legittima, per questo andrebbe gestita meglio la parte comunicativa, in modo da procedere con i vaccini che, va ricordato e sottolineato sempre, sono le armi fondamentali per uscire da questa situazione. In generale, però, la risposta è buona e mi ritengo soddisfatto. Ma non dobbiamo fermarci, perché ci troviamo in una fase decisiva”.
Inevitabile, infatti, guardare ai prossimi mesi: come l’anno scorso l’autunno rappresenterà il momento più delicato, in cui si capirà davvero se il sistema, forte dei vaccini, reggerà. Come muoversi oggi per arrivare pronti domani?
“È fondamentale che questa fase di relativa calma che ci viene offerta dalla stagione calda e dall’esito delle vaccinazioni, cominciate ormai 6 mesi fa, sia utilizzata non per andare in ferie, per abbassare la guardia da parte di chi deve prendere le decisioni, ma per fare uno sforzo in più, per sedersi a un tavolo ed essere pronti per l’eventualità peggiore che possa accadere in autunno.
Attenzione, non sto dicendo che questo avverrà, ci mancherebbe. Ma, guardando all’anno scorso, non possiamo più permetterci di farci trovare impreparati: e l’unico modo per essere pronti è quello di agire pensando che lo scenario peggiore possibile possa verificarsi”.
Come si traduce questo approccio da un punto di vista tecnico e sanitario? Altro fatto da non sottovalutare: i primi a essere stati vaccinati risalgono ormai a 6 mesi fa: sarà necessario un richiamo per loro?
“L’elemento più importante è rimediare tutte le dosi necessarie per vaccinare a ciclo completo tutti, se possibile, entro ferragosto. Per tutti coloro che sono stati vaccinati a dicembre, all’inizio della campagna (come ad esempio i medici e gli operatori sanitari), occorre organizzare entro la metà di settembre il richiamo con la terza dose. Se tutto questo sarà fatto ci troveremo pronti per l’autunno e, allo stesso tempo, in grado di procedere regolarmente con la vaccinazione anti influenzale dalla fine di ottobre”.
Se tutto questo avverrà al meglio e in tempo utile, potremo davvero trasformare la pandemia in un ricordo?
“Da un punto di vista scientifico, non posso rispondere. Se procederemo a fare al meglio ciò che si è detto, magari il Covid-19 non sarà solo un lontano ricordo, ma è probabile che i danni possano essere estremamente limitati. Se, al contrario, non si utilizza questo periodo di calma per arrivare preparati, rischiamo davvero un impatto profondo su tutto il sistema, che nessuno può permettersi”.
Un’altra incognita per il futuro è quello delle varianti del virus.
“Le varianti rappresentano dei campanelli d’allarme che possono essere utili se ascoltati adeguatamente. Non si può escludere che in futuro le varianti possano creare dei piccoli focolai, e in questi casi sarà decisivo avere il coraggio di intervenire tempestivamente e con quarantene rigide e serie, che permettano di risolvere la situazione nel minor tempo possibile. Bisogna, però, sottolineare un elemento importante in ottica varianti: una volta che i vaccini anti-Covid sono stati realizzati, è possibile adattarli alle varianti, senza doverli ripensare e ricreare da zero ogni volta. È un’arma efficace che abbiamo a disposizione contro il virus e che potremo avere, in modo rapido, anche contro le varianti. Come ci insegna il vaccino anti influenzale”.
Lei è un medico di base e già in passato si era espresso sulle difficoltà incontrate dalla sua categoria durante l’emergenza. A cosa si riferisce?
“Da tempo c’è un problema organizzativo e di gestione dei ruoli. Siamo esausti e dobbiamo poter tornare a fare esclusivamente i medici: non possiamo continuare a vicariare altri servizi che si traducono in un carico burocratico elefantiaco che, non essendo di nostra competenza, non fa altro che rallentare il nostro lavoro. Ad esempio, io credo che la somministrazione dei vaccini competa anche ai medici di base, ma non è possibile che sia a nostro carico anche tutta la macchina burocratica che li accompagna: è impensabile che io debba far firmare sei fogli per ogni paziente, che debba pretendere che li abbia letti in tutti i suoi aspetti tecnici e, a vaccino fatto, debba anche occuparmi di gestire le comunicazioni sul portale della Regione. Stesse difficoltà che incontriamo nel dover gestire le prenotazioni e l’organizzazione per la somministrazione delle seconde dosi: un impegno troppo grande e che non ci compete, portando al rischio di distrarci e toglierci le energie fondamentali per svolgere il nostro ruolo fondamentale. Noi siamo medici, dobbiamo poter tornare a fare ‘solo’ i medici”.