Violenza alle donne. Ne parliamo con Federica Facchin, ricercatrice e docente di Psicologia clinica dei legami familiari all’Università Cattolica di Milano
Le notizie di femminicidio ci raggiungono ormai con una tale regolarità e frequenza da sgomentare e creare al contempo una sorta di assuefazione che induce a sorvolare sulla notizia e passare oltre: sempre che i particolari descritti dal cronista non siano così cruenti da sollecitare insieme allo sdegno una curiosità un po’ morbosa. È un fenomeno che riguarda senza distinzione tutte le classi socio-culturali ed economiche con gravi effetti sul benessere fisico e psicologico della donna e della famiglia. Come proteggersi e tutelarsi?
Ne parliamo con Federica Facchin, psicologa, psicoterapeuta, ricercatrice presso la facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano.
Docente di Psicologia clinica dei legami famigliari, è autrice, tra l’altro, di vari contributi scientifici sulla violenza nei legami di coppia.
Il fenomeno della violenza nelle coppie è aumentato negli ultimi anni?
“ Ci sono molte forme di violenza contro le donne; quella messa in atto da un partner o ex-partner è senza dubbio una delle più diffuse. È una violenza che pervade i legami di coppia e famiglia, devastando le vite di chi la subisce, direttamente o indirettamente come nel caso dei figli che assistono. Le “porte” attraverso cui la violenza si insinua sono sensibilmente aumentate. Ad esempio, oggi basta installare delle app nei cellulari per sapere sempre dove l’altro si trova. Questi dispositivi sono ampiamente utilizzati dagli autori di violenza, che aspirano al possesso della vita della propria partner. Per non parlare poi di Internet, che facilita la circolazione virale di video diffusi a scopo di vendetta. Anche il revenge porn (pornovendetta) è a tutti gli effetti una forma di violenza di genere, di cui le donne pagano conseguenze indicibilmente gravi, arrivando persino a togliersi la vita”.
Come si arriva all’omicidio quale “atto estremo” in un rapporto di coppia violento?
“Un uomo non uccide la propria compagna o ex compagna all’improvviso. Attenzione dunque a non credere alla narrazione del raptus omicida, perché è pericolosa e fuorviante. L’omicidio è quasi sempre il punto di arrivo di un’escalation dell’orrore (minacce, atti persecutori di varia natura), che può protrarsi anche per anni e che spesso viene sottovalutata persino da chi raccoglie denunce e segnalazioni. Inoltre, è da considerare che, in non pochi casi, le donne si recano con le proprie gambe all’appuntamento con l’uomo che in quell’occasione le ucciderà. Lo fanno perché lui promette che sarà l’ultimo incontro di chiarimento, dopo il quale sparirà per sempre. Mai credere a queste parole, se pronunciate da una persona che ha perseguitato, minacciato, aggredito. Accettare questo invito a volte significa ratificare la propria condanna a morte”.
Ci sono dei segnali che una donna potrebbe cogliere per intuire il rischio di una possibile deriva violenta della relazione?
“Sì, ci sono segnali che si possono cogliere sin dall’inizio della relazione, perché il legame comincia molto precocemente a strutturarsi come violento, sin da tempi che parrebbero non sospetti. Spesso, i partner che in futuro agiranno comportamenti violenti si presentano in una fase iniziale come degli uomini perfetti, dei principi azzurri. Il problema, in questi casi, è che le donne non colgono il “troppo”: decine di messaggi al giorno; richieste di inviare foto per verificare dove e con chi si trovano; appostamenti spacciati per sorprese (ad esempio sotto il luogo di lavoro); manovre finalizzate ad un progressivo isolamento, sradicamento della partner dai suoi legami amicali e familiari, dal suo ambiente lavorativo. Purtroppo, alcune donne scambiano questi comportamenti per espressione di un amore unico, particolare. Non possono dunque sentire quell’angoscia che segnala il pericolo e salva la pelle. La logica della violenza è precisamente quella di precludere l’accesso al mondo. L’amore invece lo apre, rendendo possibili nuove scoperte e nuovi orizzonti”.
Ci sono delle differenze di genere relative al modo in cui la violenza nelle relazioni intime si manifesta?
“Sono prevalentemente le donne a morire per mano dei loro partner o ex partner, anche per un antico retaggio culturale. Ciò non esclude che anche le donne possano mettere in atto dinamiche violente nei confronti dei loro compagni. Alla base c’è sempre lo stesso bisogno di controllo e possesso, volti ad annichilire l’altro, che può anche diventare bersaglio di odio, rancore e di vendetta”.
Si manifesta già nelle prime coppie adolescenziali?
“Purtroppo, la violenza nelle relazioni intime si presenta anche tra gli adolescenti. Questo fenomeno è noto come teen dating violence (comportamenti violenti nelle prime relazioni intime in adolescenza). Anche in tal caso le femmine sono più a rischio dei maschi, soprattutto per quanto riguarda la violenza sessuale. Per molte ragazzine la prima esperienza sessuale avviene a seguito di coercizione. Anche tra gli adolescenti, la tecnologia può diventare un pericoloso veicolo di violenza; non si tratta solo della diffusione di video privati, ma anche dell’utilizzo dei social per adescare minori, spesso spacciandosi per coetanei attraverso un falso profilo. C’è un grande bisogno di educazione sessuale nelle scuole, non intesa solo come una mera trasmissione di nozioni relative a gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili (seppur importanti). Si tratta di educare all’intimità nei suoi molteplici aspetti, alla relazione con l’altro, allo scambio attraverso cui conoscersi e costruire un legame, alla sacralità del corpo (proprio e altrui), che è un bene di enorme valore e va dunque protetto”-
Nel contesto di un legame violento, è possibile un cambio di rotta da parte dei partner che possa trasformare positivamente la relazione?
“Un cambio di rotta è possibile solo riconoscendo la propria responsabilità nella sofferenza arrecata all’altro. Non è possibile alcun viraggio o lavoro clinico senza questo importante movimento di rettifica soggettiva. La storia insegna che la disumanizzazione della vittima è il presupposto di ogni forma di abuso e di violenza: se l’altro è solo uno strumento (una stampella, uno specchio, un complemento) al servizio dei propri bisogni, evidentemente gli si nega lo statuto di persona e dunque lo si depriva del proprio valore umano”.
C’è il rischio di reiterare la violenza in nuove relazioni con altri partner?
“Il rischio è elevatissimo, perché è ormai ben noto che la violenza si ripete. È anche vero, però, che in alcuni casi sono specifici incontri (incastri) tra due persone a generare un legame violento, che potrebbe non ripresentarsi nel rapporto tra queste stesse persone e altri partner.”
In che modo la violenza nella coppia impatta sui figli?
“La violenza di coppia impatta tragicamente sui figli che assistono a scene di indicibile orrore (non a caso si parla di violenza assistita). Anche loro sono vittime della potenza traumatica della violenza, subendone tutte le conseguenze. Un rischio, purtroppo, è anche quello di riprodurre i modelli genitoriali, perché la violenza passa nello scambio tra le generazioni”.
Come è trattato questo fenomeno dai mass media?
“In alcuni casi, queste vicende vengono trattate nel modo più dannoso possibile, suffragando o l’ipotesi del raptus o quella dell’omicidio passionale per troppo amore (“ l’ha uccisa perché l’amava troppo”). Si sostiene così una pericolosissima e sbagliatissima articolazione tra l’amore e la violenza, che invece rispondono a due logiche completamente diverse. In altri casi, si lascia intendere che la vittima abbia fatto qualcosa per scatenare la violenza (“ voleva lasciarlo”, “ non corrispondeva il suo amore”, “ ha trovato un altro”), che risulta dunque comprensibile, se non addirittura giustificabile. È la stessa logica inaccettabile del delitto d’onore e delle sue attenuanti, previste anche dal nostro Codice Penale fino al 1981. Non c’è niente che giustifichi la violenza, ma ancora oggi sui social network si fanno i processi a chi l’ha subita, invece di condannare radicalmente questi atti gravissimi, senza se e senza ma”.
Lucia Carli