Un ragazzo su tre è vittima di bullismo, secondo un’indagine recente di Save the Children. Il fenomeno preoccupa per le dimensioni, ma anche per la gravità, specialmente quando si parla di cyberbullismo, dove le molestie corrono sui nuovi strumenti digitali in modo apparentemente silenzioso e difficile da intercettare. Per le famiglie una fonte di preoccupazione da non sottovalutare, per gli insegnanti una nuova sfida da affrontare con sensibilità e strumenti formativi adeguati. Di come affrontare il problema in famiglia e a scuola si è parlato a Serravalle durante l’incontro “Prepotenti e vittime: educare bambini e ragazzi alla corretta gestione dei conflitti”, organizzato dal Centro per le Famiglie di San Marino con il sostegno di Banca CIS e il patrocinio della Giunta di Castello di Serravalle. Nel corso della serata, genitori e insegnanti hanno avuto modo di confrontarsi sul tema e sulle reciproche responsabilità, guidati dalla Dottoressa Silvia Ceccoli, psicologa e psicoterapeuta.
Che cos’è il bullismo?
“È una forma di comportamento aggressivo basato sullo squilibrio di potere tra due o più persone e caratterizzato dal ripetersi costante nel tempo di episodi violenti. Il bullismo viene definito grave quando sono presenti 3 episodi al mese. Il cyberbullismo, invece, ha caratteristiche peculiari: non è necessario che ci sia una ripetizione costante, a volte può esserci anche solo un episodio ma violento e grave”.
Qual è il ruolo del gruppo?
“Il bullismo è un fenomeno di gruppo, in genere la classe, dove ognuno riveste un ruolo: il “bullo”, gli “assistenti” che lo aiutano, i “rinforzi” che lo incoraggiano magari ridendo di fronte al maltrattamento, i “difensori” che cercano di bloccarlo, gli “spettatori” che guardano e si tengono a distanza, e poi le vittime. In questo contesto, anche chi non interviene ha un ruolo”.
Quanto è diffuso?
“Nell’80% dei casi il problema riguarda le dinamiche tra pari, principalmente bambini e ragazzi, nel 20% dei casi da bambino e ragazzo nei confronti degli adulti. L’età più interessata è tra la fine delle scuole medie all’inizio delle superiori, dove uno su tre è vittima di bullismo. Il fenomeno è sempre più diffuso, ma molto spesso gli episodi restano nascosti, la vittima ha paura e difficilmente si espone, quindi è complicato rilevarne l’entità. Ecco perché l’arma più efficace è la prevenzione”.
Come si previene il bullismo?
“Occorre lavorare sul clima di classe, facendo in modo che le persone non si vergognino e che possa attivarsi chi può denunciare. Si può partire dal parlare di episodi di cronaca per abituare i ragazzi ad esporsi e fidarsi dell’adulto”.
Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale quindi…
“Ora, con la nuova legge sul cyberbullismo, sono chiamati per legge a formarsi nello specifico. È importante che gli insegnanti abbiano sensibilità e strumenti adeguati per poter leggere i segnali e che riescano ad uscire dal concetto di classe tradizionale per far parlare i ragazzi”.
E qual è invece il ruolo della famiglia?
“È fondamentale aiutare i bambini fin da piccoli a coltivare il senso del “noi”. Già alla nascita i piccoli percepiscono di essere interdipendenti, tanto da assumere lo stato d’animo della mamma. Alimentare questa predisposizione mantenendo vivo il senso del ”“noi” rappresenta un fattore protettivo e fa sì che non si perda il rispetto dell’altro oltrepassando il limite della violenza. Il genitore può dare il buon esempio, chiedendo ad esempio: “Come pensi che si senta quel bambino?”. Aiutando il piccolo a mettersi nei panni dell’altro, il genitore lo aiuta ad entrare in empatia con lui e a diventare più padrone delle proprie reazioni. Allo stesso modo, stimolandolo a parlare di come si sente, favorirà l’autocontrollo del bambino, che non avrà bisogno di agire immediatamente le proprie emozioni ma potrà parlarne. Può essere utile trovare forme e modi in cui esprimere la rabbia, come prendere a pugni un cuscino, urlare, ma non alzare le mani su qualcun altro. Parlando insieme di episodi di bullismo, sempre in modo consono all’età, si svilupperà un senso critico capace di favorire la consapevolezza sul tema”.
Esiste un’aggressività buona e una cattiva?
“L’aggressività è fisiologica e innata, è la spinta alla competizione, entro certi limiti ci permette di raggiungere degli obiettivi: se non prevarica il senso del “noi” e non va a discapito degli altri è “buona”. Diventa “cattiva” nel momento in cui oscura l’altro, spinge a dominare sempre considerando solo se stessi e viene espressa in maniera incontrollata. Diventa cioè disfunzionale nelle relazione, non permette di sviluppare il senso di cooperazione”.
Perché si diventa bulli sempre prima?
“Rispetto al passato, oggi vengono dati ai bambini attenzioni e stimoli continui, i bambini sono sempre al centro e non hanno un confronto con la regola, col fatto che c’è un altro. Questo alimenta il senso di onnipotenza che li rende dei “piccoli principi”, prepotenti fin da piccoli, con scarsa tolleranza verso l’altro e verso il limite”.
Quali altri fattori possono favorire un’aggressività “cattiva”?
“L’esposizione incontrollata a giochi di lotta, filmati, video e videogiochi violenti può far sentire il bambino autorizzato a ripetere azioni violente soprattutto se non c’è controllo dell’adulto. È bene fare attenzione a come si esprime l’aggressività nei giochi e nello scambio tra compagni, a come si gestiscono i conflitti. Nell’uso dei social media, invece, può accadere che il fatto di non vedere l’altro, autorizzi ad esprimersi senza filtro e a far emergere aspetti aggressivi”.
Come si previene il cyberbullismo?
“A scuola, l’educazione all’uso saggio della tecnologia è un fattore altamente protettivo. In famiglia, vale sempre l’invito ad educare i bambini fin da piccoli ad esprimere le emozioni e allenare l’empatia, aiutandoli ad esprimere a parole le loro emozioni e non a agirle”.
Ci sono caratteristiche costanti delle vittime?
“Esistono due tipi di vittime: quelle passive, che sono persone timide, chiuse, riservate che tendono ad isolarsi, come se non avessero la parte aggressiva o la tenessero sempre sotto controllo; e vittime provocatrici, che infastidendo e irritando continuamente fanno in modo che gli altri si arrabbino. In entrambi i casi, si tratta di persone con scarsa autostima, scarsa padronanza delle relazioni, pochi amici, insicurezza e a volte uno stato depressivo, momenti di crisi che attirano atti di bullismo”.
L’insicurezza è comune a tutte le vittime?
“Non solo alle vittime: a volte vittima e bullo sono solo apparentemente opposti ma in realtà anche i bulli hanno profonde insicurezze. Si sentono forti e capaci solo se dominano o umiliano gli altri, non hanno alta autostima e si difendono dall’insicurezza mantenendo un’idea alta di sé. In realtà sono persone rigide con difficoltà ad entrare in relazione con gli altri. C’è anche un’incapacità di fondo di parlare di come si sentono. Questo silenzio è comune anche alla vittima, che però non parla perché non riesce a fidarsi degli altri”.
Quali possono essere allora dei campanelli di allarme per la famiglia?
“I bulli sono prepotenti in generale, non bisogna sottovalutare la cosa perché un bambino prepotente fuori è prepotente anche in casa. La vittima invece può essere una persona chiusa, che passa molto tempo chiuso in camera, comunica tanto solo con la tecnologia, ha pochi interessi, fa fatica ad entrare in relazione e non sa con chi allearsi. Se sono adolescenti può essere difficile rendersi conto, è più facile in classe per un insegnante allenato”.
Cosa può fare un genitore se sospetta che suo figlio sia vittima di bullismo?
“Se il genitore ha delle avvisaglie, deve andare a fondo parlando con l’insegnante e se occorre con il dirigente, e cercare di parlare col figlio. A volte può essere utile dialogare in modo indiretto, per capire se ci sono bambini con cui si trova male, spronarlo a trovare altri amici, interpretando messaggi indiretti”.
Insegnanti e genitori come possono dialogare?
“Occorre che ci sia fiducia tra adulti: non bisogna delegare la responsabilità all’altro, né cedere al pregiudizio, ma tenere sempre aperto un canale di comunicazione”.
Romina Balducci