L’opera d’arte sacra è un luogo teologico. E come tale dovrebbe essere letta: in termini catechetici e mistagogici. Al pari di alcuni momenti liturgici, basti pensare a quello dell’epiclesi, preghiera eucaristica facente parte del Canone con cui si chiede la Transustanziazione ad opera dello Spirito Santo, si tratta di spazi ricchissimi di densità teologica.
Nell’arte antica in generale, e nell’estetica del sacro in particolare, si riscontra una stratificazione di significati articolata all’interno di un linguaggio che, andato codificandosi nei secoli, è quello a cui si è dovuto conformare tutto quanto nel tempo è stato aggiunto.
Di alcuni elementi di questo linguaggio, dei suoi simboli, dei suoi stili e dei suoi codici Alessandro Giovanardi ha tracciato un quadro durante la conferenza: “L’Annuncio a Maria a Scolca – Forme artistiche e figure simboliche”, organizzata dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” presso l’Abbazia di Santa Maria Nuova Annunziata di Scolca (chiesa di San Fortunato), dalle cui sculture e pitture si è preso spunto.
Ovviamente gli elementi architettonici sono parte integrante di quel linguaggio. L’arco trionfale che introduce all’abside, elemento caratteristico dell’architettura ecclesiastica, rappresenta il Cielo che si curva e si piega verso la terra, simboleggiando l’azione dello Spirito Santo.
I pilastri che reggono l’arco recano le effigi della fenice e del pellicano, entrambi simboli cristologici: la fenice, lasciatasi consumare dal fuoco, dopo tre giorni risorge dalle proprie ceneri; il pellicano, dopo aver dovuto uccidere i propri figli, che lo ferivano per violenta avidità mentre venivano da lui nutriti, li piange per poi riportarli in vita, aprendosi il petto ed offrendo per loro il proprio sangue.
Due conchiglie sormontano le nicchie che ospitano le statue dell’angelo dell’Annunciazione e di Maria stessa. Secondo l’interpretazione medievale, la conchiglia può generare la perla essendo stata colpita da un raggio di luce, o da un fulmine. “È pertanto evidente rimando alla Madre di Dio ed al Suo virginale concepimento. – spiega Giovanardi – Per questo la conchiglia è una figura ricorrente ed i fonti battesimali hanno sovente la sua forma”.
Nella nicchia di destra, l’angelo, in atteggiamento tipicamente cavalleresco, con l’avambraccio sinistro regge il giglio, simbolo di fertilità e purezza ed ulteriore riferimento mariano, mentre la mano destra è tenuta sollevata, con il dorso rivolto verso la Vergine: tre dita, riferentesi alla Trinità, sono rivolte in alto, e le altre due, indicanti la duplice natura (divina e umana) di Cristo, sono rivolte in basso, rimandando all’Incarnazione.
Maria, nella nicchia di sinistra, è rappresentata come colta da pudico stupore al comparire dell’angelo: stava leggendo la Sacra Scrittura, appoggiata ad un tavolo la cui gamba è a forma di zampa di leone, citazione dell’Apocalisse: «Uno dei vegliardi mi disse: “Non piangere più, ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli”.» (Apocalisse 5,5).
Sopra le nicchie che ospitano le due statue troviamo i cherubini, angeli che, posti oltre il trono di Dio, proteggono e benedicono.
Ai lati della navata, nelle quattro lunette che sormontano altrettanti dipinti, troviamo le rappresentazioni delle Tre Persone della Santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e quella della Madre di Dio, che viene così collocata all’interno della comunione trinitaria.
La Vergine Maria è detta anche, nella terminologia iconografica, “la più ampia del Cielo”, poiché in Essa si incarna ciò che i Cieli non possono contenere. L’annuncio del Suo concepimento virginale è tema dell’arte cristiana fin dai primi secoli: pitture e bassorilievi rinvenuti nelle catacombe, risalenti al III secolo, testimoniano già dell’esistenza di questo tema nell’arte sacra. In Lei Dio si incarna, prende forma, il corpo del Redentore viene come “intessuto”. Non a caso è frequentissimo trovare, nelle Annunciazioni, Maria nell’atto di filare o tessere. Ricorrenti sono le immagini di rocchetti, spole e conocchie, di cesti con tessuti e stoffe.
A livello antropologico il filare rimanda alla sapienza ed al dipanarsi del destino, un archetipo intimamente collegato a quello della donna.
Maria è il Tabernacolo, la Madre di Dio è il Tempio dove lo Spirito trova il luogo e la sostanza, perfetta ed immacolata, per farsi corpo, per compiere la sua “tessitura”.
Filippo Mancini