Home Vita della chiesa Cosa disse Gesù quella sera, nell’ultima cena?

Cosa disse Gesù quella sera, nell’ultima cena?

Non lo sapremo mai. Non sapremo mai cosa disse veramente Gesù quella sera, quando «mentre mangiavano, prendendo il pane benedisse […].
Poi prese il calice e rese grazie (eucharistesas)» (Mc 14,22-23; Mt 26,26-27).
Nessun evangelista (Lc 22,19-20), san Paolo compreso (1Cor 11,24), si è preoccupato di riportare quelle parole di benedizione e di gratitudine, limitandosi a riferirci solo quelle seguenti: «Prendete e mangiate/bevete» e «questo è il mio corpo/sangue».
Da buon ebreo praticante sappiamo che Gesù, in quella cena pasquale, pronunciò molte benedizioni (berakot) per il cibo e per i quattro calici, ma nessuno saprà mai con certezza cosa disse veramente il Figlio di Dio per benedire e per dire “grazie Babbo!”.

Se vogliamo entrare nel mistero di quella cena e risalire la corrente dei sentimenti e delle emozioni che quel giovedì afferravano il cuore di Cristo, dobbiamo ascoltare con l’orecchio della fede e nell’eloquenza del silenzio il Prefazio, l’inno di benedizione e di ringraziamento con cui inizia l’azione di grazie della Messa: la Preghiera Eucaristica (Ordo Generale Messale Romano, 79.147; vedi Catechesi, 60).
Il Prefazio (dal lat. prae = davanti e fari =dico: dico davanti, al cospetto di) non è una preghiera che viene prima di quella Eucaristica, quasi fosse una sorta di introduzione o di prologo (come invece s’incominciò a credere dall’VIII al XX secolo!), ma piuttosto l’annuncio solenne, davanti al popolo radunato, dell’azione di grazie, l’unica cosa “veramente buona e giusta” che un cristiano possa fare.

Nel pronunciare il Prefazio, il sacerdote si fa voce di questo popolo radunato, che ha appena associato a sé come “carne della sua carne” (v. Catechesi, 61) e, nello stesso tempo, si lascia afferrare dalla voce e dai sentimenti di Cristo che, qui e adesso, benedice il Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza (OGMR 79.72).
Si può quindi ben comprendere il motivo per cui solo il sacerdote lo pronuncia e non gli è assolutamente consentito dire parole sue, neppure per spiegare ai fedeli cosa sta facendo (fare cioè monizioni, che può però fare prima di iniziare il Prefazio, OGMR 147.31; Redemptionis sacramentum, 52).
Davanti all’azione di grazie di Cristo al Padre, anche gli strumenti musicali tacciono per lasciar spazio alla voce e, preferibilmente, al canto del sacerdote (OGMR 32.147); il diacono fa un passo indietro(OGMR 179); i concelebranti, se ci sono, consegnano la loro voce al celebrante principale (OGMR 148.216), che canta/dice il Prefazio sempre con le braccia alte e aperte, segno del sacrificio di Cristo (OGMR 148; v. Catechesi, 58).

Ma cosa dice, o meglio, cosa fa veramente il Prefazio?
Anzitutto dobbiamo dire che non esiste un solo Prefazio, ma ce ne sono tanti, come tanti sono i motivi per cui dire grazie a Dio (la creazione, il dono del Figlio, la sua vittoria sul male e sulla morte, l’effusione dello Spirito Santo, la Chiesa, i santi, i sacramenti, solo per citarne alcuni) e tante le occasioni e i tempi speciali in cui fare Eucaristia (feste e solennità, sacramenti, esequie, ecc., OGMR 364.79).
Oggi il Messale ne conta oltre 90, alcuni attinti dagli antichi libri liturgici e altri (quasi una ventina) composti ex-novo. Si tratta di veri e propri capolavori teologici, tanto coincisi quanto solenni, e tutti riflettono tre precisi contenuti nell’unica azione di grazie:
1. si aprono con la lode e il ringraziamentorivolto al Padre (È veramente cosa buona e giusta renderti grazie Padre…), da parte del sacerdote per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo;
2. esprimono il motivo del ringraziamento, che in ultima analisi è la salvezza realizzata in Cristo, o per qualche suo aspetto particolare (incarnazione, resurrezione, pentecoste), a seconda della diversità del giorno, della festa o del tempo. Nell’attuale Messale ci sono 4 Prefazi di Avvento, 3 di Natale, 5 di Quaresima e 5 di Pasqua; 10 per le domeniche del Tempo ordinario, 9 per i Sacramenti e 5 per la vergine Maria, oltre quelli per gli angeli, gli apostoli, i santi, i martiri e i defunti; ben 9 sono invece Comuni, ossia si possono usare quando non sono previsti quelli Propri.
3. Si chiudono sempre allargando la lode e il ringraziamento alla Chiesa celeste, in cui gli angeli e i santi celebrano l’eterna liturgia (Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo…). Questa conclusione introduce infatti al canto Santo, Santo, Santo con cui la voce della Chiesa terrestre si unisce a quella della Chiesa celeste (Sacrosanctum Concilium, 8), in cui anche i nostri cari defunti celebrano la gloria di Dio. Questo passaggio è importantissimo, poiché dice che quando facciamo Eucaristia, incontriamo nel modo più vicino ed intimo possibile i nostri cari, che sono in Dio.
Termino segnalando che la II Preghiera eucaristica ha un Prefazio proprio (anche se può essere usata con altri), così come la IV (OGMR 365) e le due Preghiere della Riconciliazione (I-II/R); la V Preghiera eucaristica, invece, prevede quattro Prefazi propri.

E allora? Allora dovrebbe essere chiaro che il 2 novembre un cristiano non salta l’Eucaristia per andare al cimitero! Va invece al cimitero, perché ha incontrato i suoi cari, vivi, nell’Eucaristia ed è così certo che da quel loculo risorgeranno!

Elisabetta Casadei

* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa)