Sono da poco, con grande gioia, diventato nonno. Una gioia appannata dal fatto che mio figlio e sua moglie hanno deciso, per il momento, di non battezzare il bambino: deciderà lui, dicono, quando sarà più grande. Io ho provato, con delicatezza, a fargli cambiare idea. Io però sono una persona semplice, non so esprimere bene ciò che penso. Cosa potrei dire loro per cercare di convincerli?
Lettera firmata
Risponde mons. Gilberto Aranci, docente di Teologia pastorale
Prima di una risposta diretta alla domanda, darei un consiglio al «nonno». Il consiglio cioè di rivolgersi al parroco per presentargli il problema e chiedere eventualmente il suo intervento in merito alla questione del rimandare il battesimo. Dico questo perché dal testo della domanda è difficile capire quali siano le vere motivazioni dei genitori di non voler battezzare il figlio e di conseguenza rispondere adeguatamente alla domanda circa cosa dire loro perché recedano dal loro intendimento.
Posso solo qui ipotizzare due situazioni in cui può essere maturata la decisione di non battezzare il proprio figlio. Due situazioni che richiedono due atteggiamenti diversi.
La prima. I genitori non sono credenti e quindi per coerenza non intendono assumersi una decisione, battezzare il figlio, che non rientra nel loro pensiero. Esercitano il loro diritto fondamentale di genitori e, escludendo ogni propria adesione alla fede cristiana, intendono lasciare che sia il figlio in età giusta a fare la sua scelta di battezzarsi oppure no. In questo caso, credo che non ci siano margini tali da far comprendere il valore cristiano del battesimo sacramento in ordine alla fede e alla vita stessa e quindi «convincerli» a rivedere la propria decisione. In questo caso eventualmente, come indicato dagli orientamenti pastorali, si potrebbe concedere il battesimo, se i genitori accettassero di lasciare a una persona cristiana, un parente o un amico, la responsabilità dell’educazione cristiana del bambino. Altrimenti, quando si incontra una sostanziale indifferenza religiosa e nessuna garanzia di una futura educazione cristiana del figlio, il parroco, dopo aver ponderato tutto con sapienza pastorale, sarà bene che con delicatezza suggerisca di rinviare il battesimo.
La seconda situazione. I genitori sono credenti, ma in nome della convinzione di non voler imporre al proprio figlio la propria scelta cristiana, intendono lasciare al proprio figlio la libertà di farlo quando ne avrà l’intenzione. In questo caso occorre l’intervento di una persona, parroco o catechista, tale da offrire ai genitori delle opportunità per approfondire il significato vero e profondo del sacramento del battesimo. E così, possano giungere ad un autentico convincimento, radicato in una fede risvegliata e riscoperta insieme al catechista e alla comunità cristiana, del loro dovere ma anche della loro gioia di genitori cristiani di battezzare il proprio figlio.
A questo riguardo, sono importanti gli orientamenti pastorali che ormai da anni sono presenti nella pratica della preparazione dei genitori al battesimo dei loro figli.
Ne riprendo qui alcuni suggerimenti pratici. «Se nei genitori si percepiscono esitazioni, dubbi, sull’opportunità del battesimo, si può chiedere loro: voi pensate che sia meglio non far battezzare vostro figlio? Perché? Nessuna risposta dei genitori è banale. Tutte meritano attenzione e rispetto, perché esprimono la loro convinzione. In ogni risposta, poi, c’è sempre una parte di verità che occorre cogliere e apprezzare. Si apre così un primo scambio discreto, paziente e sincero con i genitori a partire dalle loro risposte. Solo se i genitori non si sentono giudicati ma compresi, si rendono maggiormente disponibili ad interrogarsi su ragioni ”più alte” che spingono la Chiesa a battezzare i bambini nei primi mesi di vita».
A questo punto si può continuare un dialogo tale che arricchisca e corregga le risposte dei genitori mediante una vera e propria catechesi battesimale riguardo alla scelta della Chiesa di battezzare i bambini e per far maturare in loro il senso cristiano della loro richiesta.
Certamente andrà spiegato che il battesimo sacramento suppone sempre la fede in Gesù Cristo, ossia l’adesione fiduciosa al Signore, la conoscenza del significato del sacramento e quindi la disponibilità a riconoscere e ad accogliere il dono di Dio. Per questo, i bambini non potrebbero ricevere il battesimo, in quanto incapaci di professare la loro fede. Ma la Chiesa fin dai primi tempi, per supplire alla loro mancanza di fede, li ammette al battesimo perché li avvolge, come una madre, della propria fede. Così ogni volta che viene battezzato un bambino, la comunità cristiana, compie non solo un gesto materno ma anche un atto che la impegna di nuovo a ravvivare la propria fede per trasmetterla al bambino durante la sua crescita. E ciò naturalmente sempre coinvolgendo i genitori e i padrini.
Si cercherà poi di far comprendere che chiedere il battesimo del figlio è un vero gesto d’amore, come quello di avergli dato la vita: vuol dire, in altre parole, chiedere che la vita del proprio figlio, già amato da Dio, sia perfezionata e arricchita da un singolare dono, una vita nuova in Cristo, che la Chiesa chiama «rinascita spirituale»; vuol dire affidarlo alla protezione del Signore per tutte le future situazioni di vita; vuol dire chiedere alla comunità ecclesiale di accogliere il proprio figlio in una famiglia più grande, in modo che il loro amore di genitori verso il figlio si allarghi così che tutti insieme possano condividere la sua crescita nella fede con la testimonianza, i sacramenti, la preghiera, la catechesi.
Il dialogo potrà continuare fino a far maturare nei genitori una motivazione illuminata e corroborata dalla fede per fare questo grande dono al proprio figlio.
Spero che la situazione del «nonno» possa in qualche modo collocarsi nel quadro della seconda mia ipotesi che prevede senz’altro una soluzione positiva come da lui desiderato.