Non voglio distinguere tra credenti e non credenti. Siamo tutti umani e come uomini siamo tutti sulla stessa barca. E nessuna cosa umana deve essere aliena per un cristiano. Qui si piange perché si soffre. Tutti. Ci sono in comune l’umanità e la sofferenza. Ci aiutano la sinergia, la collaborazione reciproca, il senso di responsabilità e lo spirito di sacrificio che si genera in tanti posti. Non dobbiamo fare differenza tra credenti e non credenti, andiamo alla radice: l’umanità.
Davanti a Dio tutti siamo dei figli (Int. a cura di D. Agasso, La Stampa del 20 marzo 2020).
La scoperta della nostra vulnerabilità La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli.
(Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020).
L’urgenza di un giudizio
Signore ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. […] «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle.
Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai. (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020).
Una Chiesa libera dagli schemi [Da questa crisi esce una Chiesa] meno aggrappata alle istituzioni? Direi piuttosto agli schemi. Infatti la Chiesa è istituzione. Esiste la tentazione di sognare una Chiesa deistituzionalizzata, per esempio una Chiesa gnostica, senza istituzioni, o soggetta a istituzioni fisse, per proteggersi, ed è una Chiesa pelagiana. A rendere la Chiesa istituzione è lo Spirito Santo. Che non è gnostico né pelagiano. È lui a istituzionalizzare la Chiesa.
[…] Lo Spirito Santo provoca disordine con i carismi, ma in quel disordine crea armonia.
Chiesa libera non vuol dire una Chiesa anarchica, perché la libertà è dono di Dio. Chiesa istituzionalizzata vuol dire Chiesa istituzionalizzata dallo Spirito Santo. (Int. a cura di A. Ivereigh, La Civiltà Cattolica, 8 aprile 2020).
Rimettere la persona al centro superando statalismo e capitalismo
Spero che i governi capiscano che i paradigmi tecnocratici (siano essi statocentrici o mercatocentrici) non sono sufficienti ad affrontare questa crisi e neppure gli altri grandi problemi dell’umanità. Oggi più che mai, sono le persone, le comunità, i popoli a dover stare al centro, uniti per curare, assistere, condividere (Lettera ai Movimenti popolari, 12 aprile 2020).
In Cristo risorto le ferite diventano feritoie di speranza «Cristo, mia speranza, è risorto! ». Non si tratta di una formula magica, che faccia svanire i problemi. No, la risurrezione di Cristo non è questo.
È invece la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non “scavalca” la sofferenza e la morte, ma le attraversa aprendo una strada nell’abisso, trasformando il male in bene: marchio esclusivo del potere di Dio. Il Risorto è il Crocifisso, non un altro. Nel suo corpo glorioso porta indelebili le piaghe: ferite diventate feritoie di speranza. A Lui volgiamo il nostro sguardo perché sani le ferite dell’umanità afflitta.
(Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020).
Unirci al movimento dello Spirito che non si lascia rinchiudere in schemi e strutture
È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta. È urgente discernere e trovare il battito dello Spirito per dare impulso, insieme ad altri, a dinamiche che possano testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento concreto della storia.
Questo è il tempo favorevole del Signore, che ci chiede di non conformarci né accontentarci, e tanto meno di giustificarci con logiche sostitutive o palliative, che impediscono di sostenere l’impatto e le gravi conseguenze di ciò che stiamo vivendo. Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci. Lo Spirito, che non si lascia rinchiudere né strumentalizzare con schemi, modalità e strutture fisse o caduche, ci propone di unirci al suo movimento capace di “fare nuove tutte le cose (Ap 21, 5)” (Intervento sulla rivista Vida nueva, 17 aprile).
Corpo a corpo con la vita, senza complicare ciò che è semplice
Una Chiesa che ha paura di affidarsi alla grazia di Cristo e punta sull’efficientismo degli apparati è già morta, anche se le strutture e i programmi a favore dei chierici e dei laici “auto-occupati” dovessero durare ancora per secoli.
[…] Occorre dare risposte a domande ed esigenze reali, più che formulare e moltiplicare proposte. Forse nel corpo a corpo con la vita in atto, e non dai cenacoli chiusi, o dalle analisi teoriche sulle proprie dinamiche interne, possono arrivare anche intuizioni utili per cambiare e migliorare le proprie procedure operative, adattandole ai diversi contesti e alle diverse circostanze. […] Anche nella circostanza del flagello della pandemia si avverte dovunque il desiderio di incontrare e rimanere vicino a tutto ciò che è semplicemente Chiesa. Cercate pure nuove strade, nuove forme per il vostro servizio; ma, nel fare questo, non serve complicare ciò che è semplice (Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2020).
(a cura di don Roberto Battaglia)