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CONTRADDIZIONI DEL NOSTRO TEMPO

Camila Ribero-Souza (Elisabeth), Heiko Börner (Tannhäuser)- Ph Silke Winkler

Al Mecklenburgisches Staatstheater di Schwerin una nuova produzione di Tannhäuser calata nella contemporaneità 

SCHWERIN, 25 ottobre 2022 – Tannhäuser, per Wagner, è essenzialmente un viaggio alla ricerca di se stessi. E oggi, come sembra suggerire il regista Martin G. Berger, la scoperta della propria identità avviene sempre più tardi.

Quando il sipario del bellissimo teatro di Schwerin (nel Meclemburgo) si apre sulle note dell’ouverture, scorrono le immagini di un filmato che ci catapulta esattamente cinquant’anni fa, nel 1972, anno di nascita – in questo spettacolo – del protagonista. Lo si vede neonato, poi bambino, ragazzo disinibito che, come succedeva in quegli anni, intreccia un triangolo amoroso con Elisabeth (la donna che sposerà) e Wolfram (amico di entrambi). In seguito abbandonerà la moglie e i due figli per andarsene alla ricerca di altre esperienze, lasciando lei sola con il suo dolore. Peccato che le immagini corrano il rischio di sovrastare la musica: lo stesso direttore Mark Rohde qui sembra porre l’orchestra in secondo piano, consapevole che, se non si seguono con attenzione le sequenze video, non si comprenderà poi lo sviluppo di questa rielaborazione drammaturgica dell’opera wagneriana. Così, quando all’inizio dell’opera Tannhäuser compare nel Venusberg, non è più un giovane ancora indeciso sul proprio futuro, ma un maturo cinquantenne di oggi – il tenore Heiko Börner – senza idee troppo chiare sulla propria identità di genere. La rappresentazione dell’amore carnale è rivisitata, dunque, in chiave odierna e ad animare il baccanale sono otto drag queens, mentre una ieratica Venere, vestita con un abito d’oro luccicante e strutturato in modo da impedirle ogni contatto fisico, si limita a sovrintenderle.

Camila Ribero-Souza (Elisabeth), Heiko Börner (Tannhäuser)- Ph Silke Winkler

Il lavoro di riscrittura, senza far perdere il filo della narrazione, continua sulla scia delle immagini iniziali, con trovate suggestive come assegnare al pastorello le sembianze del protagonista adolescente, mentre la voce del soprano (la brava Marie-Louise Tosheva) lo interpreta cantando fuori scena. Spiazzante la conclusione: pellegrino di ritorno dal viaggio a Roma, Tannhäuser prende atto di una società che tende a normalizzare tutto. I due bambini si muovono a loro agio fra le drag queens; alla peccaminosa Venere è spuntata l’aureola; mentre Elisabeth, spogliata dalla sua aura sacrale, non è più la figura femminile catartica che ricorre in tante opere wagneriane, veicolo di redenzione grazie al suo sacrificio: non muore, dunque, ma – da madre di famiglia – deve pensare più prosaicamente ai figli. E sulle ultime note il protagonista, attonito, resta solo al centro della scena: immerso in una totale solitudine che rappresenta anche il destino di ogni artista.

Lo spettacolo, magari non troppo teatrale, è accuratamente pensato nell’intento di far convergere suggestioni letterarie – da Novalis a Pasolini – a riflessioni sull’attualità. Funziona però soprattutto grazie a un protagonista dalle qualità davvero fuori del comune. Heiko Börner, in una scrittura tenorile molto impegnativa e talvolta quasi ai limiti delle proprie possibilità, è un fantastico animale da palcoscenico, che riesce a trasmettere alla perfezione lo spaesamento odierno, cui la musica di Wagner fa da eco e detonatore al tempo stesso. Accanto a lui figurano bene Camila Ribero-Souza, vocalmente corretta, che traccia un rassicurante ritratto di Elisabeth. Il baritono Brian Davis, con lunghi capelli da hippy fuori tempo massimo, interpreta Wolfram con bella voce e sicura musicalità. Meno efficaci la Venere di Gala El Hadidi – un’emissione aspra, carente di sensualità – e il Langravio del basso Renatus Mészár, poco timbrato. Tra gli altri, merita una menzione almeno l’efficace Biterolf di Martin Gerke.

Il direttore Mark Rohde si è messo, come si diceva, al servizio della regia. Forse, talvolta, fin troppo. Ha comunque ottenuto un’ottima risposta dall’orchestra e dal coro del teatro, per un fraseggio strumentale debitamente articolato e sonorità sempre idiomatiche. Con un equilibrio fra buca e palcoscenico meno sbilanciato, sarebbe stato uno spettacolo quasi ideale.

Giulia Vannoni