Dibattito. C’è chi lo chiama Penitenza e chi Riconciliazione. Ma è davvero in disuso? E perché?
Troppo spesso pensiamo che la confessione consista nel nostro andare a Dio a capo chino. Ma non siamo anzitutto noi che torniamo al Signore; è lui che viene a visitarci, a colmarci della sua grazia, a rallegrarci con la sua gioia. Confessarsi è dare al Padre la gioia di rialzarci”. Nonostante le parole che zampillano speranza, bellezza e gioia, la confessione oggi è forse uno dei sacramenti più in crisi. Un sacramento da riconquistare.
C’è chi vede nei confessionali vuoti la perdita del senso del peccato, esperienza legata al venir meno in tante persone di un rapporto personale, intimo, confidenziale con il Signore, per cui si è meno capaci di cogliere la rottura della relazione con Lui che si realizza con il peccato. Insomma, una conseguenza dell’attuale grande crisi di fede.
Altre cause sono da ricercare nella privatizzazione del rapporto con Dio (in cui non ci deve entrare il terzo incomodo, il sacerdote), confessionali non abbastanza presidiati, cattive esperienze con la chiesa (o anche nello stesso confessionale).
Su questo sacramento, il Vescovo di Rimini ha realizzato due piccole rubriche speciali andate in onda su IcaroTv. La stessa emittente ha invitato a riflettere sul tema della confessione tre sacerdoti diocesani: don Cristian Squadrani, referente del Seminario Vescovile; don Osvaldo Caldari, parroco Ospedaletto, Cerasolo, Coriano, Passano, Mulazzano, e della comunità di San Patrignano; e don Giuseppe Tognacci, rettore della Cattedrale. ilPonte ha dialogato con loro.
Papa Francesco ha detto: “Il sacramento della Riconciliazione deve essere un incontro di festa, che guarisce il cuore e lascia la pace dentro; non un tribunale umano di cui aver paura, ma un abbraccio divino da cui essere consolati”.
Secondo voi, come sta la confessione?
Don Tognacci: Parto dalla mia storia di credente, cristiano e sacerdote. Ogni persona che vive una concretissima storia fatta di situazioni e vicende, e arriva al confessionale dal sacerdote per chiedere perdono dei peccati, perdono di Dio, ho percepito che ha già fatto un viaggio interiore.
Chi – come me sacerdote – è a disposizione della grazia di Dio, si sintonizza su quello che sta operando e ha già operato il Signore nella storia complessa di ogni creatura amata e chiamata a vivere di Lui.
C’è chi vive il sacramento della riconciliazione come un tribunale che opera un giudizio.
Don Osvaldo: Questa immagine del Tribunale è una faccenda seria. I bambini che in parrocchia vengono per la prima confessione
hanno catechiste straordinarie e meravigliose che li preparano, ma arrivano con la paura. Allora è necessario fare un passo indietro.
Il sacramento della confessione o della riconciliazione o della penitenza, come vogliamo chiamarlo, è un sacramento e questo non lo diciamo più.
I padri della Chiesa parlano di un sacramentum magnum, un grande sacramento è Gesù Cristo. Il sacramento della confessione – come tutti gli altri sacramenti – ci mette in contatto con l’unico sacramento che è Gesù Cristo. Attenzione a non perdere questo messaggio!
Non è un incontro con un tribunale ma con il Signore che mi ascolta, mi abbraccia, e vuole farmi vivere l’esperienza del suo abbraccio di perdono. È un incontro con Lui, altrimenti nella confessione rischia di prevalere tutto il resto: l’aspetto emozionale, psicologico, della colpa.
Il Vescovo Anselmi ha detto: “Molte persone si accostano al confessionale con paura, si vergognano. Paura e vergogna sono due leve ben conosciute al diavolo, le usa continuamente”.
Don Cristian: Sentire vergogna e paura è l’azione propria del peccato in se stesso, del maligno che ci allontana dal Signore. Occorrerebbe ricordare – e quando posso lo faccio – che Gesù non si è offeso e immusonito dal mio peccato, io gli chiedo scusa, lui rilassa il volto e mi riaccoglie ma Cristo stesso elimina il peccato che ha creato quel problema, la paura che ha generato quella pesantezza, la difficolta di vivere in Gesù e la vita cristiana. Dio è l’unico che può togliere il peccato dal mondo. Dio stesso viene da me che sono peccatore – e non è una cosa strana, perché ogni uomo è peccatore, si allontana da Dio – ma c’è Lui che toglie quel peccato. Un tibunale umano non agirebbe mai così: hai compiuÈ to un’azione che non andava commessa, se sei bravo e sconti la pena potrai uscire altrimenti ti comminiamo un’altra pena.
Con Gesù è tutta un’altra storia: è una storia di perdono e risurrezione”.
È uno dei sacramenti oggi più in difficoltà. È poco pubblicizzato dalla Chiesa e dai suoi ministri o fa parte della difficoltà propria dell’uomo contemporaneo a vivere la dimensione della fede?
Don Osvaldo: Come dice Papa Francesco nella Evangelii gaudium, il nostro tempo vive due grandi tentazioni: il neo gnotiscismo e il neo pelagianesimo, con il rischio di ridurre la fede a una serie di nozioni o verità, o in una serie di pratiche, una dimensione etica, attraverso la quale io conquisto una integrità, una saggezza.
Recuperare la dimensione scaramentale significa compiere un salto abissale: riconoscere che io da solo non ce la posso fare, ma posso invece ricevere la vita e i suoi sacramenti. È questa dimensione di fede che va recuperata, confessarsi è fatica difficile in certe persone diventa un bisogno, ed è bellissimo.
Le persone vengono a confessarsi davanti al padre ma anche davanti al Padre con la P maiuscola perché hanno bisogno della sua Grazia.
Don Tognacci: Nell’esercizio del ministero di confessore fai esperienza del bisogno delle persone del perdono, di una vita nuova, di risorgere perché è una esperienza di risurrezione, di speranza certa, c’è necessità di sentirsi bene con Gesù, colui che è garanzia di vita per me, che dia ragione al mio limite, alla mia caduta. Il sacerdote si mette al servizo di questa Grazia che opera.
La gioia più grande dell’esercizio del sacerdozio è quando una persona che identica a te, e molto meglio di me, piange di gioia per aver ritrovato il rapporto vivo con Gesù vivo. Si va a casa felici e si rende grazie a Dio nonostante indegnità, ti fa riverberare la sua presenza.
Ci si può preparare bene alla confessione? Don Osvaldo: La confessione esprime il bisogno dell’incontro col Signore, per sentire Lui che dice: «Ti voglio più bene di prima» e sperimentare la guarigione dell’anima.
Per esaminare la propria coscienza e prepararsi al sacramento si può utilizzare la Parola di Dio del giorno, la lettura delle beatitudini, o di un passo della Scrittura in cui si parla di carità, o ancora un salmo. Le persone cambiano il loro modo di confessarsi quanto più vivono una conversione o una riconversione. Più è vera la relazione personale più è facile operare un esame di coscienza.
È un’esperienza analoga a quella che si vive nella relazione tra persone che si vogliono bene: quanto più si amano, tanto più si accorgono di ciò che ferisce l’altro, la loro comunione.