Inaugurata con la Petite Messe Solennelle in piazza del Popolo la quarantunesima edizione del ROF, nel ricordo delle vittime del covid
PESARO, 6 agosto 2020 – Con il suo carico di significati simbolici, la Petite Messe Solennelle è stata scelta per inaugurare la quarantunesima edizione del Rossini Opera Festival: il concerto si proponeva di rendere omaggio a tutti gli “operatori al servizio della collettività” – mai così impegnati come in questi ultimi mesi – e ricordare le vittime della pandemia, particolarmente numerose a Pesaro e nelle Marche. L’esecuzione in piazza del Popolo, gremita di sedie ma occupate solo in parte per i vincoli del distanziamento (in prima fila sedeva la senatrice Liliana Segre, cittadina pesarese onoraria), è stata preceduta dagli interventi delle autorità che, con parole accorate, hanno voluto ricordare i tanti morti per covid. Ad ogni ascolto l’estremo capolavoro di Rossini, composto nel 1863 – cinque anni prima della sua morte – e scritto per soli, coro, due pianoforti e harmonium, dimostra di non avere proprio niente di Petite: anzi, la definizione sembra l’ennesima civetteria del suo autore, quando in realtà il brano possiede un valore quasi testamentario da parte di un genio che già da anni si era votato al silenzio.
Certo, un’esecuzione all’aperto non è proprio ideale (dall’amplificazione, che rende difficile bilanciare gli equilibri sonori, ai fastidiosi rumori provenienti da più parti) nel rendere giustizia agli aspetti spirituali e all’intima religiosità di questa splendida pagina; tuttavia, non ha impedito di cogliere ugualmente l’intensità dei passaggi strumentali e i lati innovativi della partitura, leggibili sia nell’uso dell’harmonium e nella raffinata scrittura pianistica – di sorprendente intensità il Preludio religioso – sia nella bellezza di linee di canto che ormai sembrano proiettate nel futuro.
L’apprezzabile quartetto solistico era formato da Mariangela Sicilia, Cecilia Molinari, Manuel Amati e Mirco Palazzi (rispettivamente soprano, alto, tenore e basso), che si sono impegnati, seppure con risultati più efficaci le due donne, nell’imprimere profondità spirituale al loro canto. Anche il Coro del Teatro della Fortuna, venti elementi diretti da Mirca Rosciani, ha dato un valido contributo – a loro spetta aprire con il suggestivo Kyrie – e una buona prova è venuta dai due pianisti Giulio Zappa e Ludovico Bramanti, insieme a Luca Scandali all’harmonium: tutti coordinati dal direttore Alessandro Bonato.
Accanto a questo capolavoro che guarda al futuro, l’unico nuovo titolo operistico rimasto in cartellone quest’anno – ma è comunque un risultato notevole – è stata La cambiale di matrimonio: prima farsa rossiniana, del 1810, scritta da un compositore diciottenne che già dimostra un’invidiabile padronanza dei meccanismi teatrali. L’opera è andata in scena al chiuso, al “Rossini”, con i cantanti che occupavano regolarmente il palcoscenico, mentre l’orchestra è stata collocata – anziché in buca – nella platea, appositamente sopraelevata. Al poco pubblico ammesso in sala spettavano i palchi, in grado di ospitare ciascuno due persone.
Lo spettacolo dell’inglese Laurence Dale, tenore convertitosi alla regia, era di gusto piuttosto tradizionale grazie alla scena e ai costumi di Gary McCann: una facciata scorrevole di casa borghese, che rendeva visibili gli interni. L’ingranaggio rossiniano è stato infarcito di alcune gag (la più riuscita, quella dell’orso portato al seguito del canadese Slook: prima intimorisce tutti, poi si trasforma in un cuoco creativo), mentre meno vivace è apparsa la bacchetta di Dmitry Korchak: bravissimo tenore, un po’ grigio invece in qualità di direttore, seppure con l’attenuante di dover coordinare i corretti strumentisti dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini distanziati fra loro.
Elemento di forza il buon cast, a cominciare dal ‘buffo’ Carlo Lepore che costruisce uno spiritoso Tobia Mill, già presago di quei personaggi che diventeranno gli esilaranti protagonisti degli imminenti titoli comici rossiniani. Il soprano Giuliana Gianfaldoni è stata una Fannì di notevole verve, a suo agio in scena non meno che nei virtuosismi della sua aria. Una piacevole sorpresa è venuta dal giovane baritono ucraino Iurii Samoilov, che disegna con sicurezza e solidità uno Slook attraente, lontano dal cliché del rozzo arricchito in cerca di moglie. Preciso e spigliato il tenore Davide Giusti nei panni del suo rivale, lo spiantato Milfort. Apprezzabili anche i due comprimari: il giovane baritono spagnolo Pablo Gálvez, l’intraprendente cassiere Norton, e soprattutto il mezzosoprano rumeno Martiniana Antonie, la cameriera Clarina che s’impone come presenza vocale nei numerosi interventi d’insieme e nella sua aria.
Giulia Vannoni