Uno dei tormentoni del dibattito pubblico è che molte delle opere o dei servizi che i cittadini vorrebbero non si possono fare perché non ci sono i soldi necessari. Così molte richieste di finanziamento che vengono proposte alle Amministrazioni vengono rifiutate per mancanza di fondi. È un ritornello che sentiamo ripetere da tutti gli amministratori a vari livelli: dallo Stato centrale al piccolo Comune. Ma è davvero così? Oppure siamo in presenza di una buona scusa che mette tutti al riparo da un rifiuto che potrebbe essere accolto male, ma che in realtà, non sempre, è reale. Senza andare a scomodare gli enti troppo lontani da noi proviamo a guardare nel nostro ambito locale.
Partiamo dalla Provincia di Rimini. Un ente che è stato fortemente ridimensionato dalla riforma voluta dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e messa in pratica dall’allora ministro Graziano Delrio nel 2014. Alle Province furono tolte molte competenze e divenne un ente di secondo grado, ovvero senza un’elezione diretta, ma solo di competenza dei sindaci appartenenti a quella provincia. Sono passati meno di dieci anni, ma da più parti si fa capire che così non funziona e quindi è possibile che si torni indietro e quindi all’elezione diretta da parte dei cittadini. Vedremo. Nel frattempo la nostra Provincia ha approvato un rendiconto di bilancio in cui emerge un avanzo complessivo di circa 9.3 milioni, di cui una parte viene destinata ad accantonamenti ed un’altra a fondi vincolati. Rimangono circa 2.8 milioni che vengono destinati ad ‘avanzo libero’. Queste sono somme che si possono destinare ad impegni che l’Amministrazione considererà opportuno contrarre per le spese che riterrà più urgenti.
Il Comune capoluogo ha una situazione diversa, infatti è impegnato a ridurre il debito contratto negli anni precedenti per le opere pubbliche realizzate e quindi nessun avanzo di gestione, ma l’impegno a proseguire negli investimenti per opere strategiche per la città.
Anche i piccoli comuni, però, possono trovarsi con avanzi di gestione. È il caso del Comune di Coriano che nel 2021 ha avuto fondi liberi per un totale di 1.3 milioni. Il Comune di Cattolica, invece, nel bilancio 2021 segna un avanzo libero di circa 3.3 milioni.
Gli esempi potrebbero continuare, ma sono sufficienti per poter dire che spesso il problema non è la mancanza di risorse economiche, ma la difficoltà di spenderle. Lo sentiamo dire tutti i giorni in televisione o lo leggiamo sui giornali in relazione al Pnrr.
Non è solo, però, un problema legato a quei fondi ma a tutte le spese da realizzare e alla presenza delle necessarie e giuste risorse umane. Spesso le procedure della pubblica amministrazione sono troppe e troppo complesse. Un’opera va progettata, finanziata, deve poi avere i permessi da tutti gli enti interessati, poi ci sono gli espropri da fare e infine è necessaria una gara d’appalto. Nel frattempo possono arrivare vari ricorsi, dall’espropriato o da chi ha perso la gara. Ecco perché spesso non si riescono a spendere le risorse stanziate. Solo i Comuni, o in generale, gli enti ben organizzati, dotati del personale e delle competenze giuste riescono nell’imprese. Quindi i piccoli Comuni o gli Enti che subiscono tagli e ridimensionamenti sono in estrema difficoltà.
Le soluzioni ci sono ma bisogna volere metterle in pratica. Una strada può essere la semplificazione normativa e per realizzarla ci vogliono riforme votate in Parlamento. L’altra strada è fare fronte comune, ovvero gli Enti più piccoli si debbono mettere insieme e creare sinergie e riuscire a fare quello che da soli non farebbero mai.
Se pensiamo che in Italia ci sono 7.915 Comini di cui circa 5.500 sotto i 5.000 abitanti capiamo qual è la situazione. Per fare ciò che vorrebbero i cittadini sono necessari i soldi, ma non è sufficiente ci vuole anche l’organizzazione adatta, capace di spenderli. I buoni esempi ci sono. Bisogna solo seguirli.
Alberto Rossini