Il volto nascosto dentro il maglione, le mani intirizzite dal freddo i piedi gonfi e piagati, tutta un’esistenza dentro quel sacco che contiene le poche cose materiali che possiedono. Il passo lento e stanco di chi avrebbe bisogno d’aiuto, ma viene travolto da una tempesta d’indifferenza. Loro ci sono sempre, che sia estate o che sia inverno, una semplice passeggiata in Piazza Tre Martiri ne rivela il volto, ne racconta la storia. Di uomini e donne che credono poco in loro stessi, più di tutto colpisce la solitudine, mal celata nei volti delusi che velocemente spariscono nel freddo della stazione.
Quella dei clochard è una realtà che a Rimini fa quotidianamente a cazzotti con l’altro volto della città, quello della capitale della “bella vita”. E così ci si chiede il perché di una contraddizione così forte, ricchezza e divertimento da una parte, e povertà e solitudine dall’altra. Una cosa è certa: qualcuno che li aiuta c’è. Ci sono la Capanna di Betlemme dell’Associazione Papa Giovanni XXIII e la Caritas diocesana attive più che mai nel nostro territorio soprattutto adesso che è inverno e il freddo gelido crea problemi inimmaginabili.
La Capanna
di Betlemme
La Capanna dal marzo del 2006 si è trasferita dalla piccola casa sulla collina di San Martino Monte l’Abate ad una molto più grande che si trova lungo via Covignano. La vecchia casa poteva accogliere al massimo 18 ospiti, quella nuova invece ne ospita 40. Il risultato registrato è sempre lo stesso: tutto esaurito. Con una novità: con il trasferimento di sede è stato attivato anche il dormitorio femminile, nel quale in 12 possono trovare un letto caldo. Nel corso del 2007 le accoglienze registrate sono state più o meno le stesse del 2006, stabili a 830. A questi bisogna aggiungere i casi delle 40 accoglienze a lungo termine, dietro le quali c’è un vero e proprio progetto di recupero modellato in base alla storia di ognuno. “Per quanto riguarda queste persone, le accogliamo e cerchiamo di risolvere con loro il problema che li porta a vivere in strada. – spiega Carlo Fabbri, uno dei responsabili della Capanna – Si individuano i bisogni e si fanno “check up” di tipo sanitario, legale e familiare. Si cerca insomma di ricostruire la loro storia. In seguito, queste persone vengono trasferite in un’altra casa per poi tornare qui al centro lavoro dove misurano le loro capacità lavorative e riprendono i ritmi del lavoro.” Questo per chi ha la possibilità di reinserirsi in società.
Un lavoro incessante quello dei ragazzi della Capanna di Betlemme impegnati tutto il giorno per poi, al pomeriggio, andare alla ricerca (in stazione, sotto i ponti, nelle case abbandonate, nei parchi, ecc…) di persone che possono aver bisogno di un letto per la notte. “In questi mesi invernali troviamo meno gente che ci aspetta per essere accolta. Il motivo è semplice: se poi non c’è posto si rischia di restare a dormire fuori e quindi cercano preventivamente un luogo dove sistemarsi. Bisogna anche dire che in parecchi, si sono dotati, nelle baracche in cui vivono, di piccole stufe”.
Stagione a parte, i problemi per i senza tetto sono all’ordine del giorno: “D’inverno patiscono il freddo, d’estate il caldo e quando li accogliamo, visto che sudano, sono molto sporchi”.
In queste settimane, la maggior parte delle persone accolte, sono rumeni e polacchi, oltre ai magrebini la cui presenza è sempre una delle più rilevanti. “Dipende dal periodo”- afferma Carlo. In ogni caso possono ritenersi fortunati perché in città i posti letto non mancano: “Rimini per il numero di accoglienze che mette a disposizione si avvicina all’offerta di una grande metropoli. Anzi in città, bene o male, riescono quasi tutti a mangiare due volte al giorno e “rischiano” quasi sempre di trovare un letto dove dormire, a differenza di quello che avviene a Roma e Milano dove le stazioni sono sempre affollate”.
Se è vero che i senza fissa dimora trovano una risposta adeguata ai loro bisogni di tipo materiale è altrettanto vero che in queste persone possono emergere bisogni di tipo relazionale. Ed è qui che il piccolo centro batte la metropoli proprio perché i clochard a volte, preferiscono vivere in un posto in cui si sentono unici e riconosciuti.
Le cause
Le cause possono essere di diverso tipo. In ogni caso, è falsa l’idea che uno sceglie la strada. “In 10 anni di esperienza non ho ancora trovato un caso simile”. In genere sono persone che non riescono ad affrontare i problemi della vita, che non sono vicini ad un contesto familare che li aiuti, così tendono a isolarsi. “Dobbiamo, in ultimo, considerare che gli scalini del mondo della strada sono molto facili e veloci da scendere ma difficilissimi da risalire”.
I nomadi
Nell’universo dei senza fissa dimora c’è un gruppo numeroso: quello di chi non sta (quasi) mai fermo. Alcuni di loro conoscono la mappa dei servizi meglio degli operatori. Sanno a che ora aprirà il dormitorio in una certa città e che in una tal mensa si mangia bene. Vivono una vita al limite del nomadismo. “Il nomadismo è un rischio. È un circolo vizioso dal quale non si esce più. In questo sottomondo ci sono dei linguaggi caratteristici e personalizzati. Un tam tam di notizie che i senza tetto si scambiano e che possono indirizzare i loro movimenti”.
Ma di cosa hanno realmente bisogno queste persone?
“Più che di cose materiali hanno bisogno di una casa, una famiglia, di persone che credano in loro e che aspettino i loro tempi di voglia di riscatto”.
La Caritas
Anche presso la Caritas Diocesana gli ospiti non mancano. I dati del 2007 parlano di 440 persone ricevute in prima accoglienza suddivise pressochè equamente tra il periodo estivo e quello invernale, con quest’ultimo che registra 50 presenze in più.
Tra gli appelli lanciati nelle scorse settimane, proprio sulle pagine del settimanale Il Ponte, c’era quello legato alla raccolta di coperte da distribuire ai senza tetto per proteggersi dal freddo. “Abbiamo moltissime coperte – dice Suor Enza – ma nessuno le chiede. Siamo noi che dobbiamo chiedere se ne hanno bisogno. Secondo me questo vuol dire che un tetto, anche se misero, bene o male ce l’hanno”. Questa situazione forse è dovuta al fatto che “molti senza tetto chiedono un posto per dormire perché non sanno dove andare”. E, una volta trovato un letto caldo dove dormire, le coperte non servono.
Ma alla porta della Caritas non bussano solo i clochard: infatti si presentano anche persone che hanno una casa ma che non riescono a pagare le bollette. Per questi casi è attivo un servizio portato avanti dall’Associazione Volontariato Famiglie Insieme costituita da pensionati che hanno deciso di offrire il loro tempo mettendosi al servizio delle famiglie bisognose. “Si presentano a bizzeffe. Decine e decine di famiglie, prevalentemente formate da extra comunitari con figli – spiega Graziano Baravelli, consigliere dell’Associazione Famiglie Insieme – Non mancano però anziani ai quali non basta la pensione che percepiscono. Il fenomeno si è accentuato a causa dell’aumento del costo della vita. Le paghe rimangono basse e l’euro ha dimezzato il potere d’acquisto delle famiglie”.
Matteo Petrucci