Kent Nagano ha diretto musiche di Ligeti nel centenario dalla nascita e pagine di Haydn. Al pianoforte Mari Kodama
BOLZANO, 5 dicembre 2023 – Ascoltata oggi, molta musica del novecento appare inesorabilmente datata. Sono pochi i compositori che hanno attraversato indenni la prova del tempo, tanto da poter godere della stessa considerazione dei classici. A questa élite appartiene György Ligeti, di cui il centenario dalla nascita cade proprio nel 2023. E per celebrare la ricorrenza l’Orchestra Haydn – affidandosi alla sapiente bacchetta di Kent Nagano – gli ha dedicato un concerto molto ben impaginato: anzi, costruito secondo una vera e propria drammaturgia, che accostava il compositore scomparso nel 2006 a Franz Joseph Haydn, vissuto due secoli prima.
Del resto il legame tra il più adamantino esponente del classicismo e il musicista ungherese, ma austriaco d’adozione, non è solo un mero dato geografico, ma una testimonianza della profonda ammirazione che Ligeti provava nei suoi confronti. Autore di atmosfere musicali indimenticabili – se ne accorse il regista Stanley Kubrick, che utilizzò alcuni suoi brani per 2001: Odissea nello spazio, così come per Shining e Eyes Wide Shut – in gioventù Ligeti aspirava a diventare scienziato. Tracce di questa originaria passione sono evidenti nella rigorosa forma musicale che seppe imprimere ad alcune sue partiture: analizzate con attenzione, riescono a evocare i concetti-chiave di numerose discipline scientifiche.
Rientra in questa logica il Poema Sinfonico per 100 metronomi, con cui si è aperto il concerto all’Auditorium di Bolzano. Concepito nel 1962 per il movimento Fluxus e con una durata inizialmente prevista di cento minuti, qui però ridotta a otto, fu ispirato – al di là dell’inequivocabile intento ironico e provocatorio – dall’idea di riprodurre il ticchettio di apparecchiature meccaniche. Oggi, tuttavia, un brano come questo è divenuto di assai complessa realizzazione per la mancanza dei metronomi stessi (la Fondazione Haydn si è attivata, lanciando un appello per ottenerli in prestito dagli eventuali proprietari), ormai resi obsoleti dai dispositivi digitali odierni. Gli strumentisti della Haydn, con Nagano sul podio, si sono collocati nelle loro posizioni abituali, hanno poi azionato gli apparecchietti che ciascuno aveva davanti, e – una volta iniziata la scansione del tempo, che ha dato origine a una divertente poliritmia – hanno lasciato le loro sedie, abbandonando il palcoscenico insieme al direttore. Quando anche l’ultimo metronomo ha cessato di battere è entrata in azione Mari Kodama per eseguire al pianoforte l’Omaggio a Girolamo Frescobaldi – undicesimo e ultimo brano della raccolta giovanile di Ligeti Musica ricercata – di cui, con esemplare precisione, la pianista giapponese ha esaltato l’andamento lieve di un contrappunto che quasi trascolora in aeree dissonanze.
Diversa per epoca, ma accomunata da un’atmosfera per molti aspetti simile, la successiva Sonata in do maggiore per pianoforte Hob.XVI n.48 (che Haydn scrisse verosimilmente nel 1789), suddivisa in modo abbastanza atipico in due soli movimenti. Kodama ne ha prima sottolineato il carattere pensoso dell’‘Andante’, per sfoggiare poi una divertita leggerezza di tocco nel ‘Rondò. Presto’.
È infine ritornata in scena l’orchestra con un nuovo Ligeti, quello del Concerto per pianoforte e orchestra (1988): brano che, nonostante l’insolita articolazione in cinque movimenti, sembra da un lato guardare alle forme classiche, mentre – a seguito di una minuziosa analisi – si può notare come la struttura formale risponda a un’organizzazione geometrica frattale. Nagano ne ha valorizzato la complessa articolazione ritmica, forse l’aspetto più evidente e su cui sembra ruotare l’intera composizione.
In chiusura di serata la magnifica Sinfonia n.102 in si bemolle maggiore Hob. I, appartenente al gruppo delle cosiddette “londinesi”, ultime sinfonie scritte da Haydn (questa è del 1795), dove – prevedibilmente – l’orchestra trentina ha sfoggiato un suono ancor più idiomatico. Nagano, dal canto suo, si è concentrato soprattutto su quelle sottili inquietudini che la partitura lascia sotto traccia, destinate poi a ricomporsi in una cristallina e luminosa armonia complessiva.
Conclusione ideale per un concerto dedicato a due compositori che hanno fatto della forma non solo una cornice esteriore, ma la loro fondamentale cifra espressiva.
Giulia Vannoni