Pci, Psi, Dc, Dc, Pci, Psi, Pli, Pri, Dc, Dc, Dc, Dc. Dovesse riscrivere oggi il testo di «Nun te reggae più», a Rino Gaetano gli andrebbe via mezza canzone solo per i nomi dei partiti. Soprattutto a livello locale, infatti, è stato un tripudio di liste civiche dai nomi più disparati che richiamavano tutto tranne che le sigle di partito. La storia recente la conosciamo: l’antipolitica, la crisi dei partiti tradizionali etc etc… Molto meglio uno slogan, allora, di una sigla: tendenza giustificata laddove c’erano coalizioni di più partiti, ma di cui si è forse un po’ abusato. Anche perché il voto ci ha detto che ormai la fase della «dissimulazione» può considerarsi superata. Il principale partito ha ottenuto un riconoscimento che gli può consentire oggi di presentarsi con orgoglio con nome e cognome. Dopo avere imparato la lezione di un anno fa col fiato addosso del movimento: a sua volta coerente nel presentarsi dappertutto con la propria identità. E poi i possibili nomi «civici» prima o poi finiranno. A meno di non trovarci la prossima volta con la lista «Noi che vogliamo bene alla nostra città più che alla mamma».