Sacerdote, consacrato, parroco, penitenziere, esorcista, assistente di alcuni gruppi di laici e canonico della Cattedrale di Rimini. Don Silvano Tonti ci ha mostrato come muore un cristiano: «Arrivederci in Paradiso»! Così ha salutato tutti nel suo testamento spirituale. Nello stile sobrio che lo ha sempre contraddistinto, sembra leggere un’epigrafe dei primi cristiani, per i quali la resurrezione era più che certezza: «Per la mia sorte ultima non ho timore alcuno, unica speranza per me di salvezza è infatti Cristo, sotto la cui guida la morte muore».
Prete schivo e di poche parole, gli sono bastati cinque verbi per ricapitolare tutta la sua vita prima di consegnarla a Cristo: credo!, obbedisco!, ringrazio, rinnovo il dono totale di me stesso, chiedo perdono, saluto e arrivederci!
Don Aldo Amati, che lo affiancò come cappellano a Cattolica per tre anni, lo ricorda come un sacerdote austero, tutto dedito al ministero, con una spiritualità robusta e solida (quasi ignaziana!). Ne ammirava il forte senso di Chiesa e l’obbedienza incondizionata. Come parroco era amato dal suo popolo, anche se a volte un po’ autorevole…
«Conservo un buon ricordo di prete» ci dice don Fausto Lanfranchi, Vicario generale dal 1972 al 1986: «Aveva un temperamento forte ed era un uomo riservato. Negli ultimi anni celebrava la Messa a San Gaudenzo e qualche volta in Cattedrale, perché era canonico». Un titolo oggi solo onorifico, che indica i membri del Capitolo della Cattedrale che possono concelebrare con il Vescovo e partecipare al Sinodo diocesano; prima del Concilio, invece, spettava loro la direzione liturgica e amministrativa dell’intera Diocesi.
È proprio in Cattedrale che negli ultimi anni don Silvano svolgeva gran parte del suo ministero come penitenziere, colui cioè che fa le veci del Vescovo per i peccati a lui riservati, come per esempio l’aborto e l’apostasia. Don Giuseppe Tognacci, Rettore della Cattedrale, sottolinea la fedeltà con cui don Silvano svolgeva questo delicato ministero: «Mai assente. Vi profondeva ogni energia e non taceva ai penitenti le esigenze della vita cristiana».
A pochi metri, prima nell’Oratorio di San Giovannino e poi a Santa Croce, svolgeva un altro delicatissimo ministero: quello di esorcista. Ministero di consolazione e di misericordia, che richiede profondo discernimento e tanta preghiera, soprattutto nei casi (per la verità rari) in cui si trovava a lottare con il demonio.
Che fosse un uomo di preghiera lo testimonia anche “Il Cenacolo della SS. Trinità”, il gruppo di preghiera che celebra la Messa secondo il Rito antico (in latino): «Questo cammino – scrivono – ti ha visto celebrare i sacramenti, ritiri spirituali, pellegrinaggi, direzioni spirituali, adorazione eucaristica e soprattutto il Santo Sacrificio della Messa, sempre con costante impegno e grande fervore, che ci hanno edificato e aiutato a crescere nella nostra vita spirituale».
Nella sofferenza nessuno l’ha mai sentito lamentarsi e pare che un tratto particolare della sua luminosa persona fosse l’umiltà.
Effettivamente don Silvano un segreto ce l’aveva e pochi lo sapevano: alle promesse sacerdotali aveva unito la professione dei voti di povertà, castità e obbedienza, consacrandosi come sacerdote diocesano nell’Istituto secolare “Gesù Sacerdote”, fondato da don Alberiore. Questa famiglia spirituale gli permetteva di camminare più spedito nella vita interiore, di esercitare il suo ministero con più generosa dedizione e spirito di obbedienza, considerando sua “parrocchia il mondo intero sull’esempio di San Paolo”. Che forse fece nella Basilica di Rimini.
Elisabetta Casadei