Oltre alla rivoluzione del cinematografo che scosse la Francia alla fine dell’800, Parigi visse un altro profondo cambiamento nel mondo dell’arte circense e della clowneria, con l’entrata in campo del primo clown nero della storia, il popolare Chocolat (lo interpreta Omar Sy, noto al pubblico per Quasi amici, bel talento per la commedia, qui abile anche nelle sfumature drammatiche), partner del “bianco” Foottit (James Thiérrée, nipote del grande Charlie Chaplin). Del nero pagliaccio però si è cancellata la memoria: il film diretto da Roschdy Zen ripropone una figura tanto divertente in scena quanto problematica nel privato, con vizi di gioco, passione per le donne e per i piaceri della bella vita, giunto al punto di rottura artistica con il suo compare di scena, nel tentativo di misurarsi con altri palcoscenici (Chocolat provò ad essere il primo, genuino “Otello” di colore di Francia, ma i parigini non gradirono). Una parabola di vita e di arte, con implicazioni coloniali (la degradante fiera esotica con i “selvaggi” esposti come “fenomeni da baraccone”) e razziali (all’apice del successo Chocolat è denunciato come clandestino e costretto a subire soprusi in prigione) in un’epoca in via di cambiamenti (i fratelli Lumière girarono un film sulla coppia di clown, visibile sui titoli di coda), vicina alla Grande Guerra che spense risate e sorrisi.
Sotto la tenda circense, Mister Chocolat racconta dalla periferia fino alla metropoli la vicenda umana e artistica di un “buffone” unico nel suo genere, amato dal pubblico e divorato dal successo, convinto di poter esprimere diverse velleità recitative, provando a cambiare pelle, pardon, costumi di scena. Ma il pubblico, si sa, non sempre è ben disposto ad accattare i cambiamenti: sì al clown, no all’attore.
Cinecittà di Paolo Pagliarani