Chesley “Sully” Sullenberger è il pilota del volo di linea miracolosamente atterrato sul fiume Hudson il 15 gennaio 2009: nessuna vittima, 155 passeggeri salvati. Un incidente causato da un doppio bird strike, la collisione con stormi di uccelli che fecero fuori entrambi i motori, un caso assolutamente unico. All’eroe del “miracolo dell’Hudson” si accosta Clint Eastwood con un signor film, dono di equilibrio e sintesi: gli bastano 96 minuti, un sorprendente Tom Hanks e un bravo co-pilota con Aaron Eckart (mentre a Laura Linney è riservato il ruolo della consorte di Sully) per mettere a fuoco generi differenti (dal “catastrofico” al drammatico fino al processuale) e soprattutto raccontare la storia di un uomo di grande esperienza costretto a lottare contro un sistema, quello aeronautico, che lo processa perché reputa la sua scelta un errore costato alla compagnia un velivolo intero, quando invece avrebbe potuto tornare all’aeroporto. Sully sa di avere agito nel modo giusto, ed ecco la lotta di un individuo contro chi non valuta il “fattore umano”.
Sully entusiasma ed appassiona, costruisce in modo efficace il dramma interiore del protagonista costretto a fare i conti con incubi generati da una scelta carica di responsabilità. Le sue notti insonni mentre aspetta il processo sono emblema di un forte tormento esistenziale, mentre l’opinione pubblica lo osanna e lo esalta e i mass media lo braccano. Sully è anche la paura di trovarsi davanti ad un altro 11 settembre (l’aereo che scende verso il fiume non deve essere stato uno spettacolo rilassante per nessuno), ma questa volta è un “volo per la vita”. Sui titoli di coda spunta il vero Sully e i passeggeri del volo, per un commovente omaggio all’uomo che ha risolto con coraggio una situazione impossibile.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani